Non sempre la categorizzazione musicale risulta essere utile.
Capita anzi, a volte, che nel tentativo di individuare un genere o un posto destinato ad essere occupato da qualcosa, si perda completamente il contatto con l'esperienza dell'opera stessa.
Questo avviene spesso e provoca, in maniere più o meno pesanti e destabilizzanti, l'esplosione di una quantità incalcolabile di minimi particolari che incidono sull'identificazione, sotto forma di nome, di una qualsiasi espressione musicale.
I dibattiti quasi sempre si perdono in un continuo vagare in circolo, sebbene non si possa negare la presenza di varie eccezioni in cui, per i motivi più disparati, una categorizzazione e una successiva distinzione tra generi ha un senso.
Ma vi è un altro tipo di eccezione, ed è quella in cui il lavoro musicale rigetta, per sua stessa natura, qualsiasi possibilità di essere discusso e anzi, senza nemmeno dare il tempo di potersene rendere conto, è lui a mettere in discussione l'ascoltatore.
Immergersi in qualsiasi ascolto richiede tempo e pazienza nella grandissima maggioranza di casi, ma è quando il tempo non è decifrato da chi ascolta ma stabilito da ciò che si sta ascoltando che le prospettive vengono completamente ribaltate.
Per cercare di delineare cosa questo possa significare si può trovare rifugio in due modi di operare sull'ascoltatore che fissano dei punti concettuali ben precisi, che fuoriuscendo quasi completamente dal contesto musicale assumono il volto del timore più umano che ci sia: l'oblio.
La questione è in che modo lo assumano e quale sia la carica emotiva che portano con sé.
I lavori che possono tradurre tutto ciò sono, da una parte Everywhere at the end of time di The Caretaker, nome dato dal musicista inglese Leyland Kirby al suo progetto, e dall'altra la monolitica discografia, se così la si può chiamare, degli Stalaggh, un non bene identificato gruppo di musicisti provenienti da varie esperienze Black Metal in Belgio e Paesi Bassi.
Anche in questi due casi si è data la necessità di trovare una identificazione in un genere, che sia l'elettronica (viene utilizzato anche il termine “Hauntology”) nel caso di Kirby o il Noise/Drone in quello degli Stalaggh-
Serve a mala pena per cominciare a indirizzare una pura curiosità e a niente di più.
Quello che è fondamentale nel trovarsi ad avere a che fare con questi due mondi è comprendere come si stia venendo trascinati in qualcosa che, pur essendo molto al di là del proprio vissuto quotidiano, risuona in sordina in chiunque stia al mondo.
Definire Everywhere at the end of time come un semplice disco è riduttivo, non tanto per la durata di sei ore e mezza, innegabilmente impegnativa, ma perché la componente musicale si assume un ruolo inusuale che non è quello di fare da sottofondo o di incuriosire, ma di trascinare l'ascoltatore in un percorso che è quello, statisticamente anche probabile, della stessa sua vita.
The Caretaker come nome del progetto non è casuale, quando ci si sofferma sui titoli dati da Kirby a ogni traccia, o per meglio dire a ogni passo del suo lavoro, titoli che sono parte strutturante dell'intero lavoro.
In termini pratici quello che Kirby ha concepito nel suo operato è l'incombere del tempo che passa, della vecchiaia che avanza e della progressiva perdita totale del contatto umano con l'ambiente.
Memoria che svanisce,demenza senile, morbo di Alzheimer.
Espressioni che fanno parte di una possibilità del decorso vitale ma che sono lontane da chiunque possa rendersi conto della loro esistenza, banalmente per il fatto che la loro esistenza non ha a che fare con lui, almeno non direttamente.
Le sei fasi che compongono Everywhere at the end of time cominciano con un titolo, It's just a burning memory e finiscono con un altro: Place in the world fades away.
Quello che succede tra questi due momenti è l'inspiegabile mutazione di una vita che passa dall'essere perfettamente funzionante a divenire un vago suo simile.
Le sonorità quiete dell'inizio del lavoro, che sembrano quasi provenire da un grammofono di altri tempi, si ripetono in un susseguirsi che, seppur morboso e confusionario, non lascia intravedere nemmeno per un attimo ciò a cui si sta andando incontro.
Come in un sogno che sembra dovere durare il tempo necessario del riposo, ci si abitua sempre di più, ogni minuto che passa, a quello che si sta ascoltando senza farsi troppe domande.
Ed è nel momento in cui, ormai assuefatti da qualcosa che non si può contrastare, ci si ritrova in una dimensione sonora oscura e inquietante che ci si rende conto di avere smarrito nel corso dell'ascolto una qualche parte di sé, finché non si va fino in fondo e si ha la sensazione di non stare nemmeno ascoltando qualcosa, come se avesse smesso di esistere o addirittura non ci fosse mai stato.
In una mente sana questo è traducibile nel susseguirsi di pensieri e sensazioni che una volta terminato l'ascolto iniziano a formarsi.
Quello che si sbarazza completamente di ogni categorizzazione è il fatto che per tutta la durata dell'ascolto si sia stati messi nella condizione di una malattia neuro degenerativa senza neanche avere avuto il tempo di rendersene conto.
The Caretaker, un nome così rassicurante, è sintomo di quanto Kirby vuole esprimere con il suo lavoro, di quanto voglia mettere in evidenza la fragilità della vita stessa e l'importanza della cura degli aspetti che la rendono tale, come il rapporto con l'altro, il ricordo, la memoria e l'avere a che fare con l'ambiente circostante e con tutto ciò che scolpisce l'essere umano.
Nel suo mettere di fronte all'oblio, Kirby dà importanza ai fattori umani più sensibili, manipolando i ricordi dell'ascoltatore stesso come con quel suono da grammofono che non può non fare pensare a qualcosa di conosciuto come gli anziani; i nonni ad esempio.
Pur avendo come punto di riferimento l'oblio e la fine di ogni cosa c'è umanità, nell'accezione che ha questo termine come assoluto, nella proposta del suo lavoro.
A scombinare qualsiasi cosa appresa o sentita nell'arco di queste sei ore e mezza intervengono, dall'altro estremo della stessa visione, gli Stalaggh.
Basterebbe soffermarsi anche in questo caso sul nome del progetto per capire immediatamente quali siano gli interessi del loro lavoro. Stalaggh come Stalag, i campi di prigionia della Wehrmacht, e per non dare ulteriormente alcuna via di scampo, dopo un primo scioglimento nel 2008, il progetto è stato rifondato sotto il nome di Gulaggh, in maniera tale da mettere a tacere qualsiasi ipotesi su una presumibile appartenenza o preferenza politica.
L'oblio sotto la lente degli Stalaggh non ha niente a che vedere con la cura di Kirby e con la tenerezza con la quale egli cerca di accompagnare l'ascoltatore.
L'oblio degli Stalaggh è l'annullamento di ogni fattore umano e dell'umanità stessa, come assoluto concettuale e come presenza fisica.
I nomi dei lavori sono eloquenti: Projekt Nihil; Projekt Terror; Nihilistik Terror; Projekt Misanthropia; Pure Misanthropia.
Non ci sono ricordi da rievocare in questo caso, né per mezzo di grammofoni né per mezzo di niente.
Categorizzare questi lavori con una qualsiasi accezione musicale è semplicemente inutile.
Sessioni di chitarre distorte vengono ripetute con interventi di sintetizzatori e batteria.
Il fulcro sono però le urla e i lamenti di alcuni pazienti di un ospedale psichiatrico registrate dagli stessi membri del gruppo all'interno della struttura.
Non c'è alcun interesse nell'avvicinarsi ai disturbi mentali in nessun modo, e non vi è interesse nemmeno nel rendere più vicino un qualcosa di così distante dalla quotidianità come la malattia mentale.
C'è solo il disprezzo e il disinteresse verso ogni forma di vita esistente e verso la vita stessa, e nell'ascolto non vi è nessuna separazione tra il sano e il malato, tra chi sta ascoltando e chi inconsapevolmente è l'ascolto; chi è stato registrato senza averne la minima idea.
La disumanizzazione totale messa in atto in ogni lavoro del gruppo ha come unico obbiettivo affermare l'oblio e il niente come unico valore positivo dell'esistenza, che non è arte, non è cura e sicuramente non è musica.
Sottoporsi alla propria disumanizzazione per mezzo di chi è considerato qualcosa di molto distante dall'umano nelle sue condizioni normali è ciò che rende così potente ed efficace il lavoro intero degli Stalaggh.
Chiudere questi due modi di avere a che fare con la fine di ogni cosa, con l'annullamento progressivo di ogni carattere umano, biologico e non, è un'operazione che se non è impossibile ha comunque nel suo stesso essere pensata qualcosa di profondamente sbagliato.
L'unico modo per averci a che fare è subirli, così come si subisce il tempo e ogni cosa che non si può decidere.
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