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SWISS ARMY MAN - La possibilità della malattia e il desiderio di essere se stessi

Swiss Army Man è un film del 2016, scritto e diretto dalla coppia di registi videomusicali Dan Kwan e Daniel Scheinert (firmati the Daniels). Il film, senza aver mai avuto luce nelle sale cinematografiche italiane (distribuito su Amazon Prime), è un’opera insolita e originale, che ricalca apparentemente la trama dei grandi classici letterari come Robinson Crusoe, e cinematografici, come Castaway.

Il protagonista Hank (Paul Dano) è un naufrago sull’orlo della disperazione che si ritrova inspiegabilmente su un’isola deserta dove incontra il corpo esanime di un magistrale Daniel Ratcliffe, in arte Manny.


Manny è un cadavere sputato fuori dal mare che comunica solamente attraverso peti.

Il suo arrivo stravolge la vita di Hank: grazie a lui, ritrova la speranza e il desiderio di vivere, di cercare un altrove che gli consenta di uscire dalla sua straziante solitudine.

La salvezza è puramente relazionale: Manny si trasforma fin dai primi minuti in un surreale e alquanto imbarazzante motoscafo alimentato da peti, che conduce il naufrago sulla terraferma.

Hank inizia così un tortuoso e accurato percorso di comunicazione e riabilitazione con il cadavere il quale mostra segni di vita attraverso peti e versi gutturali, fino a scoprirsi un vero e proprio amico multi-uso o coltellino svizzero (appunto “Swiss army man”) con poteri e abilità fuori dal normale.

Da qui inizia il viaggio interiore dei due giovani, il mènage profondo e umoristico di due facce della stessa medaglia, che attraverso peripezie, sogni, ambizioni, intimità, riescono a trovare la via di casa, o meglio, la via della riconciliazione e della pace con sé stessi, con la realtà.

L’obiettivo ora non è quello di recensire il film in questione quanto più mettere in luce alcuni aspetti salienti riscontrati al suo interno.


La malattia della possibilità


Hank è un giovane ragazzo introverso, un ineguagliabile romantico che, frustrato e deluso dalla società, si rifugia fisicamente e mentalmente in un’isola deserta dove ritrovare se stesso.

Nella sua emarginazione prende atto solamente di una cosa: l’incapacità di essere una perfetta solitudine. Il primo piano sulle bottiglie di plastica lanciate in mare come messaggi di aiuto esprime perfettamente questa condizione: “I’m so bored” o “I don’t want to die alone” per sottolineare proprio come la mancanza dell’Altro, inteso come Alter ego (Mitmensch)[1], ossia la percezione dell’altro diverso da sé, sia cruciale nel suo stato di sofferenza.

Hank si autoproclama un esiliato perché fugge dalla realtà, in particolare dai suoi coetanei e dalla famiglia: un rapporto inesistente e conflittuale con il padre, che si ricorda di lui solamente attraverso un messaggio programmato il giorno del suo compleanno, e un lutto ancora da digerire della madre, morta quando lui aveva appena 11 anni.



La sua fuga fisica si mescola con una fuga mentale: l’isola e Manny non sono altro che proiezioni della sua psiche frammentata e impaurita che rifiuta di consegnarsi all’oggettività del mondo dove il suo Io è costantemente minacciato da una realtà implosiva o risucchiante[2]. Realtà e fantasia vengono così tenute separate, così che l’io fugge da una relazione esplicita con l’esterno ed entra in rapporto con se stesso (Manny) e con gli oggetti che solo lui può postulare: oggetti della sua immaginazione o memoria, mai oggetti reali.[3]

Il suo io si esclude volontariamente da ogni relazione diretta, rinnega una sua parte per non essere schiacciato dall’attaccamento e dalla sensibilità sovrannaturale che lo caratterizza e che altrimenti lo farebbe sprofondare. Mettendo in atto questa difesa di abnegazione e scissione, mantiene il suo senso di libertà che può esistere solamente negando l’ingresso nel reale. La paura diviene lo sfondo della narrazione e accompagna lo spettatore nella disamina psicologica del protagonista, dimostrando come Hank non riesca a confrontarsi con un reale che in questo caso spaventa e minaccia, insulta e schernisce.

“Hank lo strano, Hankie lo svitato” recita sull’autobus ricostruito nella foresta per spiegare a Manny come il suo stare al mondo fosse giudicato sempre in modo crudele e meschino dai suoi compagni di scuola.


“Nessuno ti ama Hank”

Il primo contatto con Manny è segnato inoltre dal fantasma del padre: in preda alla rabbia per aver perso l’acqua, Hank lo accusa di essere “ritardato”, la stessa parola utilizzata contro di lui dal padre.


“Oddio, sono diventato come mio padre”
“Ritardato è una parola brutta Manny”

Nella sua solitudine si manifesta tutta la sofferenza psichica tipica dello schizoide perché la manovra principale cui ricorre per conservare la propria identità è proprio l’isolamento.

La separazione e il rapporto con gli altri è segnato da questa anti-tesi: la completa perdita dell’essere (il risucchio) o la completa solitudine. Non esiste altra possibile forma dialettica per lo schizoide che tenderà così a difendersi dividendosi in due, separandosi da se stesso per sentirsi al riparo e al sicuro dal pericolo dell’Altro.


Traspare in maniera evidente un profondo stato di scissione nel protagonista: da un lato si trova Hank, l’ultimo residuo di personalità ormai in frantumi, rassegnata e spaventata dagli altri ma allo stesso tempo affamata di relazione; dall’altro Manny, il suo io ucciso e traumatizzato, un corpo morto che viene trascinato sulle spalle del protagonista proprio perché non può permettersi di lasciarlo (e lasciarsi) andare fino in fondo.

Hank non vuole veramente morire e le abilità surreali di Manny ne sono la prova: il suo desiderio di vita trascende e si ribella ad ogni forma di completa pietrificazione dell’io.


Proprio per questo desiderio di ri-appropriazione di sé stesso, Hank si ritira dagli elementi oggettivi per consegnarsi alla propria soggettività: diviene un essere libero nella sua fantasia, nel suo immaginario, ossia il luogo inviolato e inviolabile a cui nessuno può accedere, in cui nessuno può veramente ferire (come invece tutti hanno fatto con lui).

Concepisce una nuova realtà nella foresta, rimette in scena le sue paure (“non so comportarmi normalmente di fronte una ragazza”), i suoi desideri (conoscere la ragazza dell’autobus),

la sua voglia di esistere e di manifestarsi nel mondo come essere libero e incontaminato.

“E’ questa la vita che ho dimenticato” farfuglia Manny, quando a bordo dell’autobus contempla sognante le immagini strappate via da una rivista settimanale.


“Quando torno a casa, voglio prendere l’autobus tutti i giorni”

La creazione di un microcosmo interiore nel bosco dona ad entrambi i personaggi la capacità di trascendenza che permette di immaginare una nuova oggettività senza il suo statuto “oggettivo”.

Il mondo di Hank e Manny è un mondo autistico, privato che ovviamente non può sostituire il mondo pre-esistente ma consente ai protagonisti di ritrovare una traccia del reale.

L’individuo schizoide aspira ad essere onnipotente, a realizzare se stesso senza ricorrere al normale rapporto dialettico con gli altri, un tipo di rapporto che richiederebbe una presenza e l’uscita dal proprio mondo interiore.

Il suo isolamento è la conseguenza del bisogno di controllare e riparare alla propria situazione di emarginazione e sconfitta; non è provocato solo dalla necessità di difendersi dagli altri ma nasce anche da una profonda preoccupazione per gli stessi.

Per tale motivo, la capacità del ritorno nell’immaginario conferisce una nuova sensibilità, una ri-significazione di quel mondo che precedentemente era fonte di disagio e sofferenza.

“Che cos’è la vita?” chiede Manny quando Hank cerca di rievocare in lui sensazioni e ricordi di quel lontano passato.


Nei protagonisti c’è la necessità di significare nuovamente i fenomeni, l’urgenza di negare e allo stesso tempo fantasticare il reale e la sua quotidianità: una riscoperta dell’ovvio, inteso come enigmatico e insondabile, inaccessibile, ma oltremodo possibile e reinventabile.

La malattia narrata non è un disfacimento o impasse psicologica alla crescita dell’io, ma diviene una possibilità di manifestazione dell’Essere, di rivalsa e messa in discussione di se stessi, concede al malato un’alternativa alla sua insicurezza ontologica di fondo.[4] Hank e Manny possono costruire insieme la vita, partendo dalla loro fantasia onnipotente, dalla loro capacità di sogno e immaginazione, dai rifiuti dell’essere umano che sono stati scaricati nella foresta perché ormai inutili e insignificanti.


“L’uomo nasconde ciò che non gli serve più”

“Hank, perché nascondono tutte queste cose?”

Nella negazione del senso del reale è necessario però che l’io dello schizoide perda qualcosa affinché possa esistere in perpetuo isolamento: il proprio corpo.




Il corpo dello schizoide


Il corpo narrato dai Daniels è incorporeo, abbandonato, è solo un “rifiuto sporco, rotto, inutile, puzzolente”. Lo stesso corpo che consente ad Hank e Manny di ritornare a casa: il corpo di uno schizoide.

L’io dello schizoide infatti rifiuta la materialità del corpo, non è percepito come il nucleo stesso dell’essere ma come un oggetto fra i tanti oggetti del mondo.

Lo nega perché è fonte di dolore, è la prima vittima che il mondo può perseguitare e per questo è necessario sbarazzarsene e abbandonarlo. Lo schizoide rifiuta la sua corporeità per non essere distrutto, per celare il vero io agli occhi degli altri e mantenerlo integro di fronte le esperienze negative che altrimenti lo renderebbero vulnerabile a tutto ciò che esperisce.


L’io-soggetto dello schizoide diventa un io-oggetto, un Alius, ossia uno fra i tanti, senza valore né consistenza, può essere ferito da chiunque nel momento in cui si abbandona, perché nessun danno può realmente ferirlo. L’io, dissociandosi dal proprio corpo, ha meno paura di una persona comune in quanto la sua essenza non viene mai violata poiché nascosta e segregata nel profondo della sua identità.

Nello schizoide non può e non deve esistere il rischio di una ferita perché il suo io ne risentirebbe troppo, verrebbe distrutto e la sua esistenza schiacciata.

La sua sensibilità è permeabile a ogni forma di stimolazione esterna, è incapace di sostenere il peso di un torto da parte di qualcuno perché porrebbe fine alla sua intera vita.

Ogni contatto con il mondo esterno è una lotta per l’esistenza e tutti i suoi sforzi sono tesi a difendere il suo vero io poiché ogni esperienza viene vissuta come totalizzante: un dettaglio, una frase, un comportamento, tutto è percepito come una messa in discussione della propria identità.

Abbandonando il corpo, lo schizoide Hank si salva, rifugiandosi nel mondo delle idee e della fantasticazione che cerca paradossalmente di ri-significare quel mondo così duro e difficile da abitare. Non a caso l’etimologia di fantastico deriva da phantázein: “far vedere, mostrare”, ossia lo stesso atteggiamento che usa Hank per comunicare con Manny, ricreando quel microcosmo civile in cui sentiva di essere fuori posto.


Hank è il suo doppio, l’alter ego superficialmente morto e profondamente vivo dal quale vuole imparare, che lo istruisce e lo educa, lo accudisce e non lo abbandona, proprio come vorrebbe che qualcuno facesse con lui ma che nessuno è mai riuscito a fare (es. il padre).

Crede in Manny perché ha bisogno di credere in qualcosa, che qualcuno creda nella sua esistenza, di ritrovare quel senso di fedeltà alla vita che ha perso e non ha salvaguardato.

Ha bisogno di essere percepito di guardarsi nello sguardo dell’altro per potersi ritrovare.

Manny è lo specchio di Hank, il suo io traumatizzato che dietro l’apparente stasi esistenziale nasconde le risorse per poter tornare ad esistere.


“Sotto ogni ferita c’è sempre luce”

Così facendo, Manny, dopo lo scontro reale con l’orso e la scoperta che Sarah non è mai stata e mai sarà sua, torna a muoversi, a ricordare, a piangere, a percepire la propria corporeità come parte integrante della sua identità.

Riemerge il trauma e con esso la vitalità che gli consente di emergere dal suo fantasma congelato, rielabora il lutto della sua morte e si carica in spalla Hank per condurlo a casa.

Si rovescia il rapporto: Manny diventa Hank e non ha più paura del mondo. Manny è il nuovo, colui che vuole vivere, Hank il vecchio, colui che vuole svanire.


Identità e sessualità


L’isolamento di Hank nel bosco è l’isolamento mentale che ha dovuto impiegare per non soccombere alle vicissitudini del reale, all’indifferenza del padre e dei suoi coetanei, alla morte e all’abbandono della madre.

L’erezione del pene di Manny e il discorso sulla masturbazione appare come l’iniziazione verso il ricongiungimento con se stessi. Egli racconta che in adolescenza non aveva il diritto di masturbarsi perché il padre lo reputava un comportamento autodistruttivo e mortifero:


“Quando lo fai, è uno spreco di energia. Più lo fai, più riduci la durata della tua vita. E’ per questo che i maschi hanno in media la vita più breve”.

L’atteggiamento di censura alla masturbazione provoca in Hank una separazione da ciò che invece è fondamentale nel processo maturativo di qualsiasi individuo: il desiderio di rapportarsi all’altro sesso, dunque, di rapportarsi per la prima volta alla propria corporeità, alle sensazioni, al principio di piacere che funge come veicolo di direzionalità e maturazione. La masturbazione è il primo contatto con il proprio io, la costruzione di un’identità espressiva e caratterizzante che consente all’individuo di fissare la pulsione in un oggetto e trovare un soddisfacimento reale e costitutivo per il proprio Sé.

Parlandone con Manny, e rievocando in Manny quel desiderio inespresso e colpevolizzato dal padre, Hank riesce a riscattarsi, a riprendere la propria identità attraverso Manny e le sue erezioni. Il pene di Manny è il primo organo che riprende vita, nel momento in cui si trova davanti le foto di una rivista pornografica: attraverso l’immaginazione di uno scenario alquanto appetibile, il suo pene diventa una bussola, una guida che si muove verso la luce, verso la strada di casa.


Il pene-bussola è il simbolo della prima linfa vitale, di quel narcisismo primario che si articola fra il corporeo e lo psichico, lo snodo che consente alla pulsione di conciliarsi fra il bisogno di amare un oggetto (Sarah) e il desiderio di concretizzarlo (“dirò a Sarah tutti i giorni che la amo”), donando così un pretesto ai protagonisti per tornare a esistere.

Non c’è da stupirsi che, quando Manny ha la sua prima erezione, il sangue torna a scorrere e il cuore pulsa per la prima volta.

La sessualità è la prima testimonianza di rinascita, la prova inconfutabile che Manny esiste e può tornare nella realtà come agente attivo, integro, e non più vittima di un sistema punitivo; dimostra come la sua identità possa finalmente riappropriarsi di un solo corpo, dei sentimenti e di un desiderio strutturalmente definito: la sua identità prima sessuale, e in seguito esistenziale.

Il travestimento di Hank nella ragazza dell’autobus, Sarah, altro non è che il desiderio dell’io diviso di riconciliarsi con quel femminile negato dal padre in cui riporre le proprie aspirazioni e il proprio godimento:


“Io ho una cosa dentro e non so come si chiama. Questa cosa mi fa sentire che se anche i nostri corpi sono attaccati in questo momento, noi due siamo staccati. Sento che tu hai una cosa dentro ma non sai che cosa e nessuno dei due dice niente e penso che possa durare per sempre. Hai una cosa dentro?”



“Hank, credo di avere paura. Sono spaventato perché penso che se muoio, mi potresti mancare”

Il ritorno alla sessualità dona a Manny la percezione della sua frammentazione che viene negata dalla paura di Hank nell’attraversare il ponte. Simbolicamente, la metafora è chiara ed esplicativa: non potranno mai giungere dall’altra parte, al definito, finchè non sarà riconosciuta e compensata l’indefinitezza e la scissione interna che li caratterizza.

Quando cadono in acqua, il bacio fra i due protagonisti non è la descrizione di una relazione omosessuale repressa, bensì la manifestazione concreta della riconciliazione con se stessi: Hank e Manny si ritrovano, si riconoscono e finalmente possono amarsi e rispecchiarsi uno nell’altro, possono finalmente diventare una persona sola, mostrando alla fine del film il confronto reale fra le parti, in cui Manny per la prima volta mette Hank di fronte la sua paura e il suo desiderio di svanire nella sua soggettività autistica e intimorita.


Lo schizoide ristabilisce il contatto con le sue diverse parti, nel momento più buio e reale della pellicola: l’incontro con la morte. Prima di tornare a casa, lo scontro con l’orso ristabilisce l’ordine e la netta separazione fra realtà e fantasia, eliminando ogni residuo di alienazione dentro Hank, rendendolo consapevole che ogni tentativo di fuga psichica messa in atto non è stato altro che un tentativo di riprendere contatto con se stesso, con la sua paura di amare ed essere amato, con il suo desiderio di vivere e di cercare la sua essenza.

“Forse il tuo cervello si è inventato me per impedire ai tuoi occhi di smettere di sbattere, alla tua bocca di smettere di masticare, al tuo sangue di smettere di scorrere. E poi per non farti cagare sotto”

Swiss army man si dimostra un film ardito e originale, segue un percorso unico per la tematica trattata, per come svela la fragilità e le risorse di un disturbo che può essere percepito come una possibilità, oltre che un problema.

E’ un elogio surreale e umoristico al problema di esistere, alla possibilità di conoscere e raggiungere se stessi in un mondo frammentato e privo di relazioni dove molto spesso il futuro non è percepito o immaginato. Accompagnato infine da una sensazionale colonna sonora (Andy Hull e Robert McDowell dei Manchester Orchestra) che rinvigorisce e rafforza quel senso di speranza e creatività al viaggio interiore che si percorre durante tutta la vita.



“Abbiamo ancora un motivo per guardare al futuro”



 

[1] Ludwig Biswanger, Melanconia e Mania, Bollati Boringhieri, 1994 [2] Ronald Laing teorizza 3 forme di ansietà di una persona ontologicamente insicura: il risucchio è la paura di perdere la proprio identità nell’interazione che si crea con una persona, data l’incertezza e l’instabilità che prova nei confronti della sua autonomia. L’implosione è il senso di vuoto che prova un individuo e cerca di riempire con la figura dell’altro, che però viene percepito come una minaccia, dunque implosiva per quel poco di identità che egli pensa di possedere. La pietrificazione è il timore di essere trasformati dall’altro in un oggetto morto, senza soggettività e autonomia personale. Per difendersi, cerca di spersonalizzare l’altro e negare i suoi sentimenti e la sua soggettività. [3] Ronald Laing, l’io diviso, Piccola Biblioteca Einaudi 2010 [4] Laing definisce l’insicurezza ontologica come una condizione esistenziale in cui la vita di una persona è segnata da profonde mancanze, difficoltà, traumi, trovandosi così senza una percezione integra, viva (anche in senso temporale) della propria identità.




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