Call Sbagliata - Racconti | La prima volta, l’ultima volta
- rivistagelo
- 6 mag
- Tempo di lettura: 8 min
Testo di Taylor Blackfrye
Illustrazione di Basak Saral
Editing di Yuri Sassetti e Maria Sole Cusumano
La prima volta
Quando fa scivolare l’asciugamani che lo copre continuo a massaggiargli i piedi cercando di fare finta di niente, ma il panico mi risale le gambe fino allo stomaco. Jessica mi aveva avvisata che sarebbe potuto accadere, anzi, era stata sincera e aveva detto che succedeva quasi sempre. Aveva anche ammesso che se il cliente era troppo timido era lei stessa a offrirgli il servizio extra ma, in qualche modo, mi ero convinta che a me non sarebbe successo, che avrebbero capito dal mio atteggiamento che ero lì solo per fare massaggi.
Almeno il primo giorno.
Ho fatto di tutto per non affrontare la verità.
Sono passata ai polpacci, ma sono ferma lì da troppo tempo. Devo risalire e decidere cosa fare, cosa dire, quanto chiedere se decidessi di…
Lo vedo crescere e irrigidirsi mentre gli friziono le cosce. Le dita passano vicino al suo scroto, ma riesco a evitarlo.
Poi lo sfioro con le nocche della mano.
Non l'ho fatto apposta, ma lui mugola e allarga le gambe.
«Sei quella nuova, vero? Ti do cento euro per un pompino» sussurra, sollevandosi sui gomiti per guardarmi mentre si afferra il membro con la mano. Lo agita tra le dita come fosse l’osso per un cane.
Ho la gola bloccata. È più del doppio di quanto guadagnerei altrimenti.
La luce è bassa. I suoni rilassanti di un ruscello nel bosco ci circondano e le nostre pelli profumano di oli ed essenze. Lui allunga una mano verso il portafogli, che ha lasciato a portata. Tira fuori cinquanta euro e me li mette davanti.
«Inizia a farmi una sega, poi gli altri cinquanta quando lo prendi in bocca» mi dice, sicuro di sé.
Fa frusciare la banconota.
Chiudo gli occhi, respiro a fondo.
La prendo.
Chiudo la mano oleata intorno al suo sesso.
È duro e caldo.
Scivolo massaggiando l’intera asta, solletico il glande e il frenulo con il pollice.
Vedo quanto gli piace e i suoi sospiri lo confermano. Con l’altra mano raccolgo i testicoli, li sento fremere.
«Stringi un po’» ordina.
Annuisco e aumento la pressione sullo scroto. Si contrae e il liquido preseminale che sgorga dalla sua punta si mescola all’olio rendendo il pene ancora più scivoloso tra le mie dita.
«Dai, prendilo in bocca» geme.
Vedere come reagisce ai miei tocchi, come si contorce sotto le mie dita, cancella il mio imbarazzo. Non che lo abbia superato, ma non ci sto più pensando. In questo momento ho io tutto il potere, ed è letteralmente tra le mie mani.
«Lo faccio per altri cento euro» riesco a dirgli con voce ferma.
Chi voglio prendere in giro? Sono qui perché ho bisogno di questi soldi.
«È tanto…» ribatte, ma stringo entrambe le mani e le parole gli si spezzano in un rantolo di piacere.
«Non vuoi sentire com’è calda la mia bocca?»
Avvicino le labbra al suo pene, alitando e soffiando sul glande scoperto e sensibile. Raccolgo la saliva e allungo la lingua per fargliela colare sopra, lo sfioro senza toccarlo bagnandolo ancora di più.
Freme.
Devo stare attenta o viene prima di pagare.
«Va bene, va bene» ansima esasperato. Prende altre due banconote da cinquanta e me le getta contro, poi mi mette le mani sulla testa e mi tira verso il suo ventre.
«Ora succhiamelo, cazzo.» La sua voce è un mormorio roco.
Non posso più tirarmi indietro.
Apro la bocca.
Ho conosciuto mio marito Ale al liceo ed è l’unico uomo che abbia mai avuto.
Devo dimostrare che valgo tutti questi soldi, se voglio che il cliente torni da me. Che mi consigli ai suoi amici.
Devo anche scoprire come si chiama. Me lo ha detto quando è entrato, ma l’ho dimenticato.
Chiudo gli occhi.
Lo appoggio sulle guance e sulle labbra, mi prendo un ultimo momento ma non posso aspettare troppo. Mi decido.
Lo lecco e lo succhio, ci metto l’anima e cerco di fargli il miglior pompino che abbia mai avuto. Lui mi lascia fare, solo quando sta per venire mi tiene la testa ferma con le mani e si spinge con forza fino in gola.
Quando ho gli occhi pieni di lacrime geme ancora più forte.
Gode.
Il suo orgasmo è più copioso e salato di quello di Ale. Ripulendolo dalle ultime gocce gli chiedo se gli è piaciuto.
Sorride e mi lascia una mancia.
Dice che tornerà.
Si chiama Davide.
Il secondo cliente è Paolo, l’ultimo della giornata Giorgio.
Torno a casa con più di cinquecento euro e il loro sapore in fondo alla gola.
Prima di salire mi fermo dal padrone di casa per lasciargli i soldi dell’affitto e mi scuso per il ritardo. Prometto che non succederà più. Lui nemmeno mi ascolta, mi spoglia con gli occhi come sempre. Quasi non mi guarda in faccia.
Penso che i soldi mi servono anche per le bollette e che, dopo oggi, uno di più non cambierebbe molto.
Gli sorrido.
Mi sorride di rimando, confuso.
Allungo una mano e lo tocco tra le gambe. Lui si paralizza.
Gli sussurro nell’orecchio. Gli chiedo se non c’è altro che voglia, invece dei soldi. Gli bacio il collo.
Scivolo in ginocchio e faccio in modo che duri poco.
Quando sta per venire me lo tira fuori dalla bocca e lo punta contro il mio viso. Dice che mi vuole coprire la faccia.
Sono felice di non ingoiare anche il suo sperma.
Pochi minuti dopo mi sono ripulita.
Salgo le scale.
L’affitto è saldato e il portafogli ancora pieno.

L’ultima volta
In casa c’è odore d’erba.
Ale è davanti al computer, sullo schermo la pagina con le offerte di lavoro. Vedo l’icona di un videogioco aperta nella barra di Windows, era di sicuro online finché non sono entrata.
«Come è andata al call center? Sei stanca?» domanda senza alzarsi, fingendo di leggere le inserzioni.
Gli rispondo che sono stanca e lui mi lancia un’occhiata.
«Qualcuno ci ha provato con te? La bellissima nuova arrivata?»
Finge di scherzare, ma so quanto è geloso. Due anni fa ha picchiato il mio capufficio per avermi abbracciata alla festa di Natale. Ho perso il lavoro e ci siamo indebitati per evitare la denuncia.
«No, amore» rispondo, «nessuno ci ha provato con me.»
Scappo in bagno.
Sotto la doccia scoppio a piangere, incapace di fermarmi, di trattenere singhiozzi così forti che mi sento lacerare. Scivolo a terra, lascio che l’acqua calda mi scorra addosso e mi conforti.
Non era così che avevo immaginato la nostra vita.
Dopo qualche minuto mi rialzo. Gli occhi continuano a lacrimare, ma il diaframma ha solo rari spasmi.
Mi insapono i capelli sporcati dal padrone di casa e mi lavo via il lubrificante dalla vagina.
Giorgio non si è accontentato della bocca.
Quando la porta della doccia si spalanca, mi scappa uno strillo di paura.
«Dove cazzo hai preso tutti questi soldi?» grida Ale con il mio portafogli in mano.
È una furia.
Io sono paralizzata, non riesco nemmeno a coprirmi dal suo sguardo. Il getto d’acqua all’improvviso sembra violento come una pioggia di schiaffi.
Tremo mentre mi asciugo le lacrime.
Alzo gli occhi su di lui, che finalmente capisce.
Non so cosa, ma capisce.
Getta il portafogli a terra e stringe i pugni.
Sono già contro il muro e non ho dove scappare.
Non so quanto passi, quando torno in me sono ancora sotto l’acqua.
È gelida. Il sangue ha sporcato dappertutto ma ha smesso di colare dalle ferite.
Esco zoppicando, ginocchia e stinchi lacerati, i muscoli che lanciano fitte di dolore.
Non ho fiato. Respirare è uno sforzo.
Non ci vedo da un occhio. Su braccia e gambe i lividi sono rossi. Ho il naso in fiamme e in bocca il sapore del sangue. La lingua pulsa. Vedo le stelle quando muovo la spalla per infilarmi nell’accappatoio e mi sfugge un grido quando cerco di asciugarmi la faccia. L’asciugamani bianco è morbido, ma mi riapre le ferite e beve il mio sangue.
Mi muovo a fatica per il bagno. Tengo lo sguardo basso per non guardare la donna che mi fissa dallo specchio sopra il lavandino.
Le avevo promesso che non sarebbe più tornata.
Che lui non mi avrebbe più picchiata. Che non mi sarei più scusata se lo avesse fatto.
Vado verso la porta, pronta a implorarlo di perdonarmi. Ancora non so cosa raccontargli perché mi creda.
No, cazzo.
Mi fermo.
Torno indietro, davanti allo specchio.
Alzo il viso con le palpebre serrate, ma poi mi obbligo a guardarmi.
L’occhio sinistro è gonfio, sembro un pugile. Lo è poco di meno la guancia che batteva contro il muro mentre mi prendeva a pugni.
I segni sul collo. Sulle braccia, sui polsi.
Sui seni dove mi ha presa a calci.
Questa è l’ultima volta. Davvero.
Avvicino la porta senza chiuderla, se se ne accorgesse si infurierebbe di nuovo.
Lo spio.
Ha distrutto il salotto, è tutto a soqquadro.
I piatti, il telefono, i miei libri.
Ora sta bevendo e fumando e investe i pedoni in GTA.
È talmente ubriaco che si scotta le dita con il mozzicone della canna e quando prova a rollarne un’altra si fa cadere tutto addosso. Bestemmia con la voce strascicata.
Riesce ad allungare la mano fino alla bottiglia e a tirare un lungo sorso, ma cade addormentato così in fretta che non so nemmeno se lo abbia inghiottito.
Nel gioco, la polizia lo circonda per arrestarlo.
Torno allo specchio.
Lascio passare altro tempo, fissandomi nell’unico occhio buono.
Ripenso a quando gli facevo copiare i compiti a scuola, perché passava i pomeriggi a scrivermi canzoni. A quanto erano invidiose le mie amiche quando ci siamo fidanzati.
Alla prima volta che abbiamo fatto l’amore.
Non so come capisco di essere pronta, ma lo raggiungo.
È sul divano, crollato sulla schiena. Dorme russando a bocca aperta, ogni tanto rutta e biascica.
Vado in camera, prendo un cuscino e torno da lui.
Lo guardo a lungo.
Ti ho amato tanto, per tanto tempo.
Ricomincio a piangere.
Lascio cadere il cuscino e mi siedo sul divano accanto alla sua testa.
Non si accorge che sono lì, continua a russare. Gli accarezzo i capelli.
Non si sveglia.
Non si sveglia nemmeno quando gli accarezzo le guance, tremando, cieca tra le lacrime. Neanche quando gli metto due dita in gola.
Ha un conato. Poi un secondo, seguito dal reflusso acido di alcool e patatine fritte. La puzza è disgustosa e solo allora apre gli occhi, troppo ubriaco e confuso per capire.
Mi fissa smarrito mentre gli tengo la testa ferma per lasciarlo soffocare nel suo vomito. Ha un attimo di lucidità che mi lacera il cuore, ma non riesce a combattere.
Non è così che doveva andare. Avevamo tante speranze il giorno del matrimonio. Dicevi ti saresti impegnato per farmi felice.
Dura poco.
Piango sempre più forte, ma non per lui. Non sento nessuna colpa. Non ho ucciso io il ragazzo che amavo, no. È morto ormai da tempo.
Non so quanto rimango accanto al corpo prima di addormentarmi.
Al risveglio ogni movimento è un nuovo dolore. Una ferita che tira. Una lama nel corpo.
Lui è lì, come l’ho lasciato.
Freddo.
Chiamo l’ambulanza.
L’infermiere mi guarda in faccia, si accerta che Ale sia morto e poi trascura il cadavere per dedicarsi alle mie ferite. Quando arriva la polizia parlano qualche minuto e derubricano tutto a un incidente.
“Morte nel sonno”, dirà il referto.
Gli sfioro la mano un'ultima volta, prima che lo chiudano in un sacco per portarlo via.
Si è spellato le nocche contro la mia faccia.
Avrei dovuto farlo la prima volta che mi hai toccata, bastardo.
BIO
Siamo una coppia (Clarissa e Andrea) che vive a Varese con tre gatti. Abbiamo pubblicato tre romanzi (i primi due con uno pseudonimo diverso) e vari racconti.
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