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Racconti | Il ponte



 

Testo di Lorenzo Santangeli

Illustrazione di Gabriele Merlino

 

«I film devono aspirare alla bellezza dell'animazione», ha detto un collega dell'agenzia artistica, un'affermazione abbastanza coraggiosa che lui, pur avendo tentato, non è riuscito a supportare con alcun esempio concreto. Ma il tono dell’affermazione è stato sufficiente ad eccitare un altro collega, sempre un po’ fuori dall’ordinario, che ha commentato dicendo «psichedelico», ed è stato preso in giro da quasi tutti perché a quanto pare è una parola ormai troppo idiota per essere usata. Io gli ho offerto da bere - con le bevande portano sempre altri stuzzichini da sgranocchiare - e lui quando è già brillo racconta di film di nicchia, di registi né popolari né attraenti, quelli che lui chiama le ombre di Tarkovsky, di Kieślowski, di Kurosowa, quelli che lui crede siano dietro Kurosawa Kieślowski e Tarkovsky quando sono sul set a lavoro su un film, ma anche in casa al bagno o in cucina e soprattutto nel letto. I film di cui parla sono selezionati accuratamente, e al riguardo dice sempre questo: che lo costringono a immaginare il film quasi a ogni scena. «Ma lo stai guardando, che bisogno hai di immaginare?», gli chiede un altro collega. «Appunto perché sto guardando e devo immaginarlo, è proprio questo il punto.» «Quale punto? non capisco.» «Il punto che io sto guardando eppure c’è spazio per l’immaginazione.» «Ma non capisco, se stai guardando, che bisogno hai di immaginare? e cosa hai da immaginare?» «Immaginare quello che sto guardando, capisci? è proprio questo il punto, capisci?» In quel momento è partito un pezzo, Pilentze Pee, del Bulgarian State Radio and Television Female Choir, che veniva dalle casse nel fondo giallognolo del locale, vicino a una porta chiusa, e sembrava anzi che venisse proprio da dietro quella porta. Intorno al tavolo più scuro del posto c’era un gruppo annidato da cui si è staccata una donna la quale, nell’indifferenza, ha aperto proprio quella porta. Io l’ho vista in quel momento, immettersi in un corridoio illuminato male, stretto, che l’ha condotta dietro un’impalcatura di legno oltre la quale c’era un’ampia sala vuota; con un cumulo di attrezzi da una parte, dei tendaggi ammassati, un sipario impolverato sulla destra. Solo dopo aver attraversato la sala lei si è voltata di nuovo, come avesse sentito qualcuno dal fondo, dal coro, e quando ha finalmente ritrovato la curiosità di procedere si è trovata di fronte a una nuova porta, davanti alla quale per un attimo ha esitato. Era chiusa, e l’eco dei suoi tentativi di aprirla mi sono arrivati come un monito o come un presagio. Sgranocchiavo con più insistenza, paziente molto meno. Lei ha bussato, e siamo tutti saltati sul posto. Dopo qualche secondo la porta s’è schiusa e nella stanza in cui è entrata deve almeno essere rimasta sorpresa dall’aspetto inusuale di chi aveva trovato dentro, perché quelli erano ricoperti di peli, con orecchie lunghe e rialzate, arti anteriori troppo corti, e messi in piedi ma come se poggiassero sulle cosce, con indosso pellicce bianche o marroni. Tutto da lontano, per noi, era stato come assistere a uno sfarfallio su uno schermo, ma ora che la donna entrava nella stanza finalmente vedevamo il suo primo piano e i muri da vicino, per obliquo, le imperfezioni della vernice verde scuro sulle pareti, a cui erano appesi quadri di bambine. Mentre guardavo la donna in mezzo, ma senza simmetrie, ansiosa, che si guardava intorno un po’ spaventata, ho cominciato a temere anche io per il peggio, soprattutto perché non sono mai stato in grado di tenere a bada i miei compagni. Siamo un bel gruppo, quando siamo sereni, ma terribile nel momento dell’eccitazione, e le vibrazioni degli arti sono rapide e brevilinee come quelle di un epilettico. Io stesso sento una spinta vitale, e anche mortale, darmi quasi fuoco ma sicuramente calore, diffuso per tutto il corpo senza essere per questo meno intenso in ogni punto. Un calore fuoco che sconfigge le intuizioni che pensiamo di avere, io e miei compagni, riguardo l’energia, e che tra l’altro torniamo ad avere quando poi tutto è finito, come se avessimo davvero bisogno di quella bugia per difenderci, contro noi stessi e contro il pericolo che diventiamo quando ne veniamo pervasi. E non ha aiutato che la donna, naturalmente avvertendo quel cambio di atmosfera, probabilmente già allertata in qualche parte del corpo, non ancora nella mente, ci ha evitato, dedicando la sua totale attenzione soltanto a un’altra di noi, Clara, che ha baciato sulle labbra prima di svanire. Clara piangeva, e questo ci ha fatto sentire ugualmente tristi. Non capivamo cosa fosse davvero accaduto, intuivamo soltanto un dolore che invece Clara stava assorbendo di fronte al nostro sguardo. Sebbene come noi, cioè nello stesso ruolo, lei era sempre stata diversa e ormai pensavamo di averci fatto l’abitudine; ma quel bacio ci ha sicuramente mostrato un lato della sua persona mai visto, una tenerezza che, devo ammettere, personalmente non avevo neanche mai sospettato. C’era sempre stato qualcosa in Clara che non andava, di questo ne ero consapevole, e non soltanto per quanto riguarda l’aspetto ovviamente diverso. La sua carnagione molto più chiara della nostra non è mai stato il problema; piuttosto le orecchie, ad esempio, o la bocca. Questo naturalmente è sempre stato sotto gli occhi di tutti, senza mai risultare in un vero problema. Io però ho sempre saputo che c’era altro sotto le differenze superficiali. Una divergenza dello spirito, se posso permettermi una frase del genere, o una provenienza da due diverse costellazioni. In profondità ho sempre avvertito una materia animata differente, a volte inquietante, anche un po’ repellente, che altre volte invece ammetto mi ha attratto. Lei ha respinto ogni mio tentativo, spaventata, con quelle sue strane articolazioni snodate, devianti, angoscianti, sempre in movimento. Pochi giorni prima ero entrato nel suo angolino esclusivo (che abbiamo attrezzato non tanto per gentilezza ma per contenere il suo tanfo insopportabile), mi sono avvicinato a lei senza dire niente e l’ho costretta all’immobilità, ostruendole ogni via di fuga. Malgrado le apparenze non siamo molto più veloci di lei, ma siamo più alti, molto più alti. Vederla all’angolo è stato vederla più indifesa, ma la sua paura nei miei confronti era irrazionale, soprattutto perché le mie intenzioni miravano all’esatto opposto. Con l’aumentare della sua paura anche gli altri si ritrovavano eccitati, e si sono avvicinati a me per partecipare. Clara quel giorno ha urlato; a noi ha preso fame. Credo, come gli altri, che la notte ci abbia portato a dimenticare. Abbiamo sentito Clara che cercava di fuggire dalla porta chiusa da fuori. Se fosse rimasto tutto così, forse un giorno sarebbe stata in grado davvero di andare via. Ma non potevamo perdonarle quel bacio, il suo primo vero tradimento, nel momento in cui eravamo più vicini alla nostra lucida follia. La tristezza che abbiamo provato non era in fondo per le sue lacrime, ma il risultato di una nuova consapevolezza, o dovrei dire proprio energia, che dovevamo assecondare, la nostra urgenza, così inusuale, che aveva allertato Clara, la quale si è voltata verso di noi con lo sguardo terrorizzato e le lacrime secche su una visione del futuro ormai inevitabile. Vedevo bene le lacrime agli occhi perché lei non ha pelo sul viso. Anche quelle mi attiravano a lei, e sortivano lo stesso effetto sugli altri. Non avevamo mai pensato per un momento che sarebbe andata così, ma è anche vero che da settimane le nostre riserve sono finite e Clara non è mai stata una di noi, di questo siamo certi. La donna che l’ha baciata ce lo ha ricordato. Quelle orecchie piccoline orribili che quando se le tocca fanno un suono maledetto. E quel naso ridicolo da cui ogni tanto spinge via sostanze maleodoranti. Più di tutto, più di ogni altra sensazione, è stato l’odore a darci spesso la nausea. Eppure, malgrado la repulsione, io ho comunque sviluppato un sentimento per lei che non posso e non voglio negare, forse anche perché tra di noi io sono l’unico che non è accoppiato. Dopo così tanto tempo in questa stanza, con questo divano, con questo arredamento così peculiare, la televisione che ci insegna, ho sviluppato abitudini poco comuni e un desiderio più forte di possedere qualcosa di esclusivamente mio. «Prima di tutto voglio averla», ho detto, proprio per mettere in chiaro le cose e non rimanere deluso per sempre. Gli altri non hanno ribattuto e si sono fermati un po’ dietro di me, quel tanto che bastava per formare una sorta di recinto intorno a Clara. Avrei preferito che fosse meno spaventata, meno rigida, ma quando ho provato a rassicurarla lei mi ha spinto via con quei suoi arti un po’ schifosi. A posto delle zampe ha strane estensioni ossee che muove come grandi ragni. Ho imparato ad apprezzare anche quelle, ma da così vicino sono sempre uno spettacolo indigesto. L’ho colpita sul volto facendola finalmente cadere a terra e smettere di dimenarsi. L’ho ribaltata e le ho tolto di dosso gli stracci dal corpo; piangeva, molto più di prima, e io volevo davvero che non piangesse, ma quella distrazione, se posso chiamarla così, mi ha permesso di ignorare la scarsa peluria sul dorso, che è un altro dei suoi principali difetti. Ha prodotto dei suoni immondi, tanto che alcuni di noi si sono anche un po’ ricreduti su quello che i nostri corpi avevano comunque già deciso di fare, ma la verità è che fermarsi non era possibile, c’era il rischio di scannarci l’un l’altro. Da quanto si è inteso proprio dalla televisione, le scorte sono esaurite per sempre; ci era rimasta solo lei. Sono stato io l’incaricato di pulire le macchie. Abbiamo deciso di lasciare qualche traccia, e io mi sono spinto fino a un punto in cui ho trovato brandelli di vestito impigliati in un’impalcatura di legno, persi probabilmente dalla donna che aveva baciato Clara, un punto in cui, guardando di fronte a noi, abbiamo visto una parete vitrea, leggermente curva, dietro la quale vedevamo ombre e il nostro riflesso. In quel momento ho ricordato un rumore dietro quella ragazza, voci e grida, una canzone incomprensibile, un suono simile a quello di Clara, e quando ho alzato lo sguardo ho avuto di fronte a me una visione mostruosa e che lo ammetto mi ha spaventato moltissimo, riempita di schiamazzi e braccia e denti e lingue, una finestra su un mondo fantastico e terrificante, ma anche una possibilità di sopravvivenza, di cibo, per me e i miei compagni. Sono tornato sui miei passi per dare la notizia del mio ritrovamento, ma per un bel po’, presumibilmente a causa della sorpresa, non sono stato in grado di produrre alcun suono, pena un giorno intero all’angolo, e proprio in quell’angolo dove rimaneva di Clara soltanto l’odore nauseante del suo spirito insanguinato. In quel momento di silenzio ho desiderato di fare parte di quell’altro gruppo, o meglio, di rimanere in disparte nel mio e anche in quello, e ho maturato l’idea, immediatamente reale, di essere a metà tra due differenti mondi, e che se rimanevo in silenzio, se non dicevo niente, avrei potuto mantenere quella mia condizione tanto quanto volevo, osservare sia loro, i miei compagni, sia gli altri, quelli da dove veniva Clara e la donna che l’ha baciata, passandole il testimone. C’è stato un momento, subito dopo questa mia realizzazione, in cui ho potuto mettere alla prova il mio nuovo piano. Dalla televisione, dove c’era uno sceneggiato, è partito l’annuncio finale. Uno dei miei compagni si è voltato verso di me, guardandomi fissamente, inespressivo, scrutandomi ma senza darmi mai l’impressione di valutarmi. Sono rimasto in silenzio pensando che una semplice parola avrebbe potuto condurre lui e gli altri dall’altra parte, anche una parola idiota, e sarebbe stato tutto perfetto se non mi fosse sfuggito un sospiro rivelatore: e allora ho mentito. Ho detto di aver sognato, ma che ora ero sveglio. Niente di più falso. Nessun sogno, e nessuna realtà, o meglio sia il sogno che la realtà, nello stesso momento, allo stesso tempo. Un punto di vista forse delimitato, ma privilegiato, la possibilità di fare avanti e indietro sul ponte esclusivo dell’incoscienza, ma in piena facoltà della mia persona, della mia esistenza.




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