Call sbagliata - Racconti | Baricentro
- rivistagelo
- 23 apr
- Tempo di lettura: 5 min
Testo di Simone Brizzi
Illustrazione di Veronica Villa
Editing di Lorenzo Vercesi
Scrivo spesso a donne trans o giovani travestiti su Grindr, facendo lo slalom tra uomini che mi importunano: “Ciao, bel cazzo?”. Li sopporto perché in cambio ricevo una transazione semplice e trovo sempre una persona col culto della femminilità.
Victoria mi risponde, dice che è a Düsseldorf. Coincidenza, ci vado settimana prossima. Mi manda delle foto. Si veste di nero, tendenze gotiche. Ha una folta chioma bruna che tiene raccolta in una coda e un aspetto esile. Le mando una foto di me che sono il contrario, un ammasso di carne e peli, barba folta e tatuaggi. Le piaccio. Le piace anche la coca, “quando può permettersela”. Rispondo che posso, ma preferisco erba e popper, se pippo non mi sale. Mi manda altre foto, calze a rete, trucco pesante, collare rosa. Dice che è una principessa. Dice che a questa principessa bisognerà che le rompo il culo.
Il quartiere di Düsseldorf dove sto è una costellazione di casette monofamiliari. Casa, garage, macchina parcheggiata di fronte. Piccoli giardini borghesi, annaffiati a mano da un vecchio o da un irrigatore automatico. Suono, apre una signora sui sessanta con ciabatte di pelo bianco. Mi stringe la mano e parla solo in inglese. Rispondo solo in tedesco. Mi accompagna sotto, hanno ricavato un appartamento dal seminterrato, loro vivono sopra. Sul muro a fianco la porta è appesa la scritta “Welcome” e dentro la stanza la scritta “Carpe Diem”. La signora indica dove trovare la password del wifi e dice che in frigo c’è una bottiglia d’acqua, saluta e se ne va.
Ci ho messo un po’ a trovare la coca, non pippo da una vita e ho perso i contatti. A dire la verità l’ho presa solo per la principessa. Abita fuori, deve prendere il treno e fare un pezzo in bici. Ieri non rispondeva ai messaggi, così le ho chiesto se mi volesse ancora incontrare, stavo per comprare la droga e non volevo buttare i soldi. Mi ha risposto di sì, ha aggiunto che è su una sedia a rotelle e ha chiesto se la cosa non mi disturbasse. Ho risposto che sarebbe stata un’esperienza ancora più interessante. Mi ha mandato dei cuori.
Rollo un purino d’erba e stendo quattro righe di coca su un piatto, di fianco ci metto la bottiglietta di popper. Mi dice che si preparerà da me, di non spaventarmi se senza il trucco sembra un goblin.
Mi rendo conto che sarà importante incontrarsi fuori dall’appartamento. Non voglio trasportare lei e la sedia a rotelle giù per le scale se non se ne farà niente. Scrivo che non vorrei farla sentire in trappola, ma la verità è che non voglio sentirmi in trappola io. Dice che sono dolce e che non prevede problemi, ma è proprio quello il punto dei problemi: non si prevedono.
Scrive che è quasi arrivata, percorro la rampa di scale e vado ad aspettarla sulla panchina di fianco all’ingresso. Appare di fronte al cancelletto e mi saluta, davanti alla sedia a rotelle è montato un marchingegno con una ruota, che trasforma la sedia in una specie di triciclo. I suoi capelli arrivano fino alla vita. Ha il volto di un giovane ragazzo dietro a un paio di occhiali dalla montatura sottile. Ci abbracciamo. Sgancia il marchingegno dalla sedia, io lo prendo e lo porto sotto. Pesa più di quanto pensassi, al ritorno mi fermo sul pianerottolo a riprendere fiato, poi è il suo turno. Prima che la prenda si afferra una gamba e la incrocia con l’altra. Proprio come una principessa, penso. È leggera, non avevo mai trasportato un adulto giù per le scale. La lascio con delicatezza sul divano e torno sopra. Alzo la sedia a rotelle di fronte al torace. La seduta è coperta da un plaid di pile che puzza di piscio. La lascio sul pianerottolo e torno da lei, verso due bicchieri di vino e mi siedo. Fino ad ora è rimasta sulle sue, non mi ha guardato in faccia nemmeno quando l’ho trasportata giù. Anche io sono in imbarazzo, non ha le fattezze che avevo immaginato, deve averle nascoste con le pose delle foto. Le gambe sono sottili, sproporzionate rispetto al torace, ricordano le zampe di un uccello. Qualcosa le sporge dal busto, come se nascondesse un pacco sotto la giacca.
Mi sento tradito, poi mi chiedo se riesca a incontrare gente soltanto così e come avrei reagito se mi avesse mandato fotografie più oneste. Rispondo e sto subito meglio.
Siamo d’accordo che esco a fumare e lei mi farà sapere quando è pronta. Dall’altra parte della strada ci sono dei garage e dietro ancora un muro di mattoni. Vado a infilarmi là dietro, non riesco ad abituarmi al fatto che ora è consentito e potrei anche farlo alla luce del sole. Accendo e tiro boccate profonde, aspetto che i pensieri diventino fluidi e inafferrabili. Bastano pochi minuti.
Il muro di mattoni emana un calore arancione che conosco bene. Vado a sedermi sulla panchina. Non so quanto tempo sia passato quando mi vibra la tasca.
Sono pronta.
Quando apro la porta la trovo sul letto. Le gambe sottili piegate di fronte, avvolte nelle calze a rete. Una harness di pelle nera le fascia il torace. Ha un rossetto scuro sulle labbra e il fondotinta ha nascosto il volto del ragazzo. Ai piedi del letto c’è un busto medico in fibra di carbonio. Lucido e rosso, è l’armatura di uno cavaliere spaziale.
Mi tolgo maglietta e pantaloni, poi mi sdraio di fianco a lei. Mi eccita che si sia preparata a lungo per me.
“Ti sei già fatta una riga, principessa?”
Annuisce.
La bacio e le avvolgo un braccio dietro la schiena. Una parte del torace spunta a lato della colonna vertebrale, creando un arco di ossa che sporgono e tendono la pelle. Ci passo la mano sopra e arrivo al fianco.

C’è il soddisfare la necessità di una persona con meno possibilità delle mie, con il bonus dell’esperienza aliena, una che pochi troverebbero palatabile. Mi gongolo con l’immagine del martire sessuale.La stringo mentre mi accarezza da sopra le mutande. Ordino di andare più sotto, la osservo mentre si punta sulle braccia e si muove agilmente, è abituata a trascinare la parte inferiore. Per ultima cosa afferra le gambe da dietro il ginocchio e le porta di fianco, con la naturalezza di chi piega una coperta.
Sento il calore che il suo corpo sprigiona sul mio. Le dico di baciarmi piano, mentre continuo ad accarezzarla. Sono completamente eretto.
Mi districo da lei, mi alzo e raggiungo il bordo del materasso. Con l’indice faccio segno di avvicinarsi. Mi piace che per farlo debba strisciare. L’erba dice che siamo tutti come lei, trasciniamo qualcosa di pesante per la stanza. Se lei lo fa con mezzo corpo è solo questione di sfortuna.
Le dico di arrivare con le ginocchia sul bordo. Ce la fa, ma non riesce a trovare una posizione stabile. La osservo mentre cerca il baricentro da fuori, prova a spingere il ginocchio, ma il bacino scivola sotto. È un castello di carte.
L’erba dice che questo è il suo rituale per sentirsi normale, trovare una posizione salda per farsi scopare.
Quando è pronta non ho nessuna esitazione. Sento il calore che mi abbraccia, resto immobile per qualche secondo e la guardo. I capelli ricadono sulla schiena e arrivano ad accarezzare il materasso. Le dico che è bellissima e poi comincio a muovermi. Emette suoni che non sono lamentele, a metà tra mugolii e latrati. Svito il coperchio del popper e inalo tre volte. Questo è il mio rituale per sentirmi diverso. Scopo le vostre facce indignate. Scopo il mio privilegio, caldo come la carne che mi avvolge. Siamo una struttura in equilibrio precario, ma per qualche secondo siamo perfetti.
BIO
Simone Brizzi nasce a Rho e ha quasi quarant´anni. Ha studiato ingegneria ignorando completamente i suoi desideri. Poi si è trasferito a Berlino, ha fatto un figlio e tutto un grosso casino (il caos è il suo amico ingombrante). Voleva fare l´artista visivo, ma la vita lo ha portato a scrivere e ha capito che quello deve fare.
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