Vertigo | Forbice
- rivistagelo
- 3 giorni fa
- Tempo di lettura: 3 min
A cura di Laura Scaramozzino
Vertigo è una rubrica dedicata ai racconti brevi che esplorano l’abisso. Paura e attrazione verso l’abisso, inteso in senso metaforico e non, rappresentano l’approccio più adatto a una narrazione che vuol essere per sua natura ambigua, liminare, al confine tra il bordo e il precipizio. Che cosa ci terrorizza, ma al tempo stesso, ci attrae? Perché, pur avendo paura del buio, desideriamo esplorarlo e addentrarci nell’oscurità?
Racconti noir, perturbanti, weird, horror o surreali troveranno in questo spazio la collocazione ideale, soprattutto qualora facciano dell’esperienza del confine, e del limite, la propria vocazione. Stare sul bordo dell’abisso, fare esperienza della vertigine, vuol dire questo: fuga e attrazione. Desiderio di cadere, ma anche terrore.
Testo di Daniele Scalese
Illustrazione di Sergio Kalisiak Editing di Laura Scaramozzino
Eleonora sente che è colpa sua e riprende la direzione a memoria, vuole fumare ma il tempo non basta, ricorda che è ora. Calpesta la terra, si muove in verticale, viola un cancello, rigetta il pericolo.
Le scrive.
Solo la posizione: è la regola, anche se ci siamo lasciate è la regola.
Trema di freddo, trova l’ingresso.
Scorge una porta, poi l’ascensore.
Quinto piano: piomba in silenzio. Un badge elettronico ai piedi di un appartamento: fa presto. Vede la stanza, sfila gli anfibi, molla i vestiti, tiene il telefono. Veste un corsetto della sua taglia, si specchia, si piace.
Un tavolo in mogano scuro, due moduli in attesa di firma. Sbriga la pratica, rimanda la posizione. È un lavoro come tutti: serve a prendere tempo, le ha detto a pranzo.
E Sara ha annuito.
Non te ne frega niente.
Sei adulta.
E mi vuoi bene lo stesso?
Sara ha sbuffato, e detto che è stupida,
io?, le ha chiesto lei.
La conversazione.
L’ha stroncata in quel modo brusco. E adesso il messaggio non l’ha ancora guardato. Andavano a scuola insieme, parlavano di cazzi per fare amicizia. Di tipi da scoparsi per prendere confidenza. Neanche mi piace!, le aveva detto Sara di un tale, a una festa, avevano bevuto troppo e ballato a lungo, s’erano baciate per gioco.
E chi ti piace?
Dei maschi nessuno.
Si erano tenute per mano fino a un bagno, si erano sfilate tutto e succhiate la fica, avevano provato a scopare. Erano venute in silenzio. S’erano riviste in classe, quello era il secondo anno, avevano rischiato, deciso di vivere insieme, occupato un monolocale ridicolo, provarci; tentato qualche lavoro momentaneo, messo da parte gli studi, ridotto i rapporti fisici. Coi video Eleonora aveva iniziato ad agosto.
Vuoi attirare l’attenzione, Sara l’aveva attaccata.
Non avevano chiarito. Quel giorno avevano smesso di dirsi tutto? E i pensieri avevano preso spazio dentro. Le persone diventano ciò che pensano, si erano confidate di notte.
Stiamoci attente.
E adesso che succede? le scrive Eleonora prima di posare il cellulare: un uomo la sta aspettando.
È nudo e la desidera.
Lei si avvicina, controlla le luci, finge coraggio.
Un tavolo scuro al centro della stanza; disinfettanti e guanti, una lama robusta, la presa di rame.
L’impugna.
Solletica le cosce dell’uomo, le graffia. Risale verso lo stomaco, segue la musica della stanza. Drum and bass, l’ha scelta lei, e piace a Sara. Disegni di sangue sulla carne. Posa la lama. Trova una forbice, la punta sul petto.
Un monitor scuro, dei numeri rossi: più si moltiplicano, più ci stanno guardando.
Vieni: le dice lui.
Recide un capezzolo, devasta lo sterno, più tagli confusi, i fiotti di sangue.
Fa un passo indietro.
Continua, la sta pregando.
Gli stringe i capelli, inclina la testa; si accovaccia. Adagia la bocca sul collo, attende il sangue che cola, lo succhia. Decide di fermarsi, ritrova il cellulare.
Le scrive ancora.
Che un giorno era felice, quando le aveva chiesto: a chi pensi quando ti tocchi, e Sara aveva risposto: a te.
Resterà sempre così?, le aveva domandato.
E Sara aveva mentito.
Non è mai colpa di quello che succede ma di quello che non succede: è questo che capisce Eleonora. Che lascia quell’uomo, e torna a casa, per fare una doccia, godersi l’accredito, sentirsi tranquilla fino al prossimo ingaggio, e Sara è piantata nel letto, stordita dalla musica alle cuffie e chissà quante pillole; si incastra al suo fianco, le bacia la fronte, e prega di dormire, lo sai che la vita è una merda, le dice, ma adesso sta con lei, almeno fino a domani, e non si deve pensare a niente, perché uno poi ci pensa e capisce, sì, uno poi ci pensa e capisce.

Illustrazione originale di Sergio Kalisiak




Commenti