Call Sbagliata - Racconti | Fergado
- rivistagelo
- 12 mag
- Tempo di lettura: 5 min
testo di Piero Armando Orlando illustrazione di Elena Santacesaria (vita_da_cactus) editing di Arianna Cislacchi e Yuri Sassetti
La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio:
questi infatti mutando sono quelli e quelli mutando sono questi
Eraclito
Canto umido
La signorina Fergado ha deciso: andrà lassù. Crede di avere trovato su una vecchia mappa il lembo di terra corrispondente a quello che le appare nel suo sogno ricorrente. Inoltre la muove il ricordo di uno sguardo onirico che lei potrebbe definire “di rondinella”, andrà quindi in cerca dell’ossigeno che le può procurare una spiegazione plausibile, invece di iscriversi ad un corso di ginnastica aerobica.
Mentre sale le strade il peso del cielo preme sul petto fino a toglierle il fiato. In un abbraccio di creste apuane stanno incastonati i borghi che furono teatro delle atrocità di ottanta anni fa. Conoscere la vicenda la fa soffrire. Forse la suggestione e il tempo che qui perde dimensione fanno parlare il fragoroso silenzio di questo luogo e le basta restare ad ascoltare. Così la signorina Fergado si lascia cogliere da un’intuizione: la sede dei ricordi non è solo la memoria individuale ma esistono stratificazioni diverse altrove, raggiungibili con mezzi non esclusivamente mnemonici. Come una sorta di deposito collettivo, a cui può accedere ora tramite il proprio sentire. La terra emana il suo odore profondo e scuro nonostante la si ricopra di cemento, è possibile quindi che, fra un ragionamento e una corsa in macchina, qualcosa si riesca a fiutare. L’eco degli eventi ha tempi di decadimento interminabili, come radiazioni. Tutto il bagaglio delle capacità e conoscenze, mole di dati che la spaventa e che per ciò delega ai computer appendici di memoria, può diventare evanescente in un attimo; tuttavia è come se non fosse possibile disperdere il senso dei contenuti emotivamente carichi che resta, come lo scheletro di sasso di quell’antica torre nascosta tra l’edera che ora si scorge oltre la curva.
Lassù la Pieve di Viano se ne sta stretta tra il cerchio delle vette, mentre ai suoi piedi si tiene una serata di festa. Al centro c’è una pista da ballo, ricavata da un varco tra le querce e i castagni. Stanno suonando un tango da una base registrata e c’è una ballerina che danza: è una rondinella, e vola sui bimbi che giocano insieme dopo essersi trovati con un segno d’intesa. Quando si muove tiene il viso appoggiato sulla spalla del partner e le palpebre chiuse. Mentre osserva, la signorina Fergado si perde nel vortice di una piroetta che la porta via lontano: ora può scovare negli occhi chiusi della ballerina quello sguardo che ripetutamente sognava. Improvvisamente è come se rammentasse una storia: l’arido sogno vero del colonnello Fergado.
Allora non è solo questione di omonimia, la rondinella è tornata per unire in volo due mondi apparentemente distanti. Ma anche l’ombra può tornare.
Canto secco
Il colonnello Fergado è un frustrato distributore di frustrazioni, pieno di macchinazioni pesanti da sopportare, anche per chi come lui ha due larghe spalle decorate e un proselito di leccaculo a reggerne il peso. Dentro il gorgo centrifugo forse inconsapevolmente azionato, si allontana dal centro di gravità alla velocità folle di chi non ha problemi coi buoni benzina, focalizzato sull’utile e giustificato dall’idea incollata con resine sintetiche antiseparazione di ultima generazione: “che invidia l’ultima generazione, la farei volentieri schiattare di fatica” pensa tra sé e un lembo di terra, labile soddisfazione di un desiderio sfuggente. Un’idea qualsiasi, belligerante o umanitaria in maschera, assolutamente non la sua, alla quale aderire con la formula bicomponente in confezione maxi offerta della colla, questa ci vuole. “Cosa ci faccio con un po’ di sabbia intrisa del loro umore, tutta ‘sta frenesia. Per. Che. Cosa.” Le domande non sono il punto forte di Fergado, sono anzi orpelli inutili come appendici infiammate da operare e amputare senza fare suonare il naso dell’allegro chirurgo. “Oggi mia cara ho sparato una salva di bombe con un bossolone e un’ogiva disarmata che fa uno spruzzo alto così quando sbatte sull’acqua. Ma nessuna soddisfazione signore, come la fecondazione assistita. Ora mi fumo una sigaretta e al prossimo giro se tutto va bene ci avvitiamo in cima una triplo gusto ad alta perforabilità, che a ‘sti studiosi diligenti bisogna pure dare qualche gratificazione”.
Cercare, sezionando in anfratti di carne, e non trovare e ricercare: il dolore degli altri non lo soddisfa a lungo. L’agenda con mille nomi è il segreto da conservare: il cielo, il fiume e la terra sono l’enigma. “Papà mi chiudeva nello sgabuzzino buio perché disobbedivo, ma a me piaceva assaggiare la torta di mele ancora calda. Papà come facevi ad accorgertene, accendi la luce dai, ho sbagliato, per favore. Il nome di papà non me lo ricordo e nemmeno il senso di queste parole, guardo lontano per vedere se l’acqua esplode in superficie in mille gocce, pensieri che si elevano confusi e ricadono in mare. Papà li vedi gli spruzzi, vedi come li faccio alti? Troppo comodo prendersela con me e farmi sparire la memoria, mica c’è giustizia e misura in questi accadimenti, solo il caso decide.”
“Cosa ne facciamo del Fergado ora che non ricorda più niente, capoccioni pieni di risposte”?
Il colonnello Fergado viene congedato col grado di generale delle forze incazzose di terra misto mare apportatrici di pace. Promoveatur ut amoveatur, avanti si balla. Omissis…
“Rendo al sole il suo volto nero di pece, rendo a te il tuo amore vero come l’ovvio, rendo a Cristo il mio agnello scarnificato, scorro le ore che mi restano. Mille paia di occhi mi guardano e io sogno che la memoria si svuoti, via tutta dalla valvola come l’aria del gommone di salvataggio, naufrago di me stesso.
La tua fronte chiara e senza rughe.
Facile, una soluzione riportata in fondo alla pagina e io mi ci perdevo come un anziano si perde in casa d’altri. Sto attraversando l’acqua densa, mi muovo e non arrivo, papà. Fumo, aspiro tutto in un tiro che mi rimane il marrone della nicotina tra indice e medio, aspiro, ciuccio. Lampi gialli e viola, mille paia di occhi. La viola può: allungare la nota e farla vibrare, flebile ma viva, mi graffia dentro e non mi sanguina. Papà, mi senti”?

illustrazione originale di Elena Santacesaria (vita_da_cactus)
Coro
Mille paia di occhi guardano ancora due occhi vuoti. A volte i ricordi sono macigni spigolosi da portare, che a confronto il granito è sughero; altre prati freschi su cui sostare all’ombra del gelso quando il sole d’agosto acceca la vista. Di questa sera di festa tra il cerchio delle vette apuane, la magia di un tango fuori luogo soltanto resta. Scendendo verso valle, l’archeogiovanissima signorina Fergado vede il cartello stradale a lettere bianche su sfondo marrone:
“Luoghi e Sentieri della Memoria”.
Laggiù all’orizzonte già si intuisce il mare, quando all’improvviso la macchina sobbalza e il motore si ferma, facendo accendere lampare rosse e gialle sullo sfondo blu notte del cruscotto. Senza neanche arrestare la marcia, la signorina Fergado infila la Folle della vecchia auto per sfruttare la discesa e tornare a casa con un pensiero fisso: “chissà dove avrò lasciato il numero di telefono di quella palestra in cui praticano la ginnastica aerobica”?
Palestra Ego gym
Cell. 333 111 XXXX
Tel. 0585 777 XXX
In nova fert animus mutatas dicere formas corpora
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