Racconto Call "Dico maschio dico" | Nudo con gorgiera
- rivistagelo
- 27 ott
- Tempo di lettura: 4 min
in collaborazione con Kala associazione
Testo di Alessandro Silva Illustrazione di Gabriele Merlino Editing di Arianna Cislacchi e Yuri Sassetti
Berto si accorse di essere in vita, con un corpo di maschio e una coscienza innamorata che gli si affollò tra le gambe, quando Leo entrò in scena e lo guardò come qualcosa che si può rompere o possedere.
Leo era più giovane e di anima torbida. Diceva di fare l’attore ma sul palco mandava a puttane ogni rispetto di sé e diveniva un animale con un innato istinto per sbranare l’Arte in ogni forma, farne suo cibo e cagarla a terra. E, accanto a ciò che restava del cadavere, farsi lui Arte: non un tramite, nemmeno un’ossequiosa imitazione ma qualcosa che non vede né sa fuori di essa perché è già perfetta potenza.
Berto staccava i biglietti, dava il colpo di chiusura della porta per segnare l’avvio dello spettacolo e attendeva l’uscita degli spettatori. Aveva un corpo morbido che non gli apparteneva ancora (ci stava dentro ma senza motivo) e:
‒ Hai due occhi da pazzo, ‒ disse Leo masticando la sigaretta mentre l’accendeva.
Berto abbassò il viso, timoroso, e ‒ Tu li hai grigi invece, ‒ fu la sola stupida risposta che gli uscì dal rubinetto scrosciante di una mente confusa. Eppure, Leo sorrise e mentre sbuffava il fumo da uno spigolo della bocca li puntò - gli occhi - dritti in quelli di Berto e se lo immaginò nudo.
In quello che doveva essere un monologo cucito su Amleto, Leo si presentò nudo, con solo una gorgiera annodata in vita, e si scolò una bottiglia di vodka sino ad ubriacarsi: ma dal compimento dei suoi movimenti inanellati in un’estatica partitura danzante, dal sudore che a gocce sempre più nutrite lucidava la tensione muscolare, da quella accozzaglia di frasi shakespiriane che, rileggendole in testa, a perfezione tratteggiavano il momento e il motivo, Leo si era battezzato Uomo. Di certo esposto e disperato ma che, quando venne (si masturbò, fece sul serio), un orgasmo lo aveva ficcato in chiunque fosse presente in sala.
Berto li sentì i commenti all’uscita: colmi di sdegno, scioccati e a secco di parole, o cauti e a disagio nell’esprimere qualche apprezzamento per non venire paragonati a esseri degeneri, quasi nessuno capiva quel che andava semplicemente fatto dinnanzi a Leo: battezzarsi suoi amanti in rapita adorazione. Berto lo fece, non solo come uomo che adorava Leo ma per imparare a disobbedire al pudore. Perché:
‒ Non me ne frega nulla degli entusiasmi mostrati dai critici che vorrebbero farselo mettere anche in gola. Io voglio farmi la gente, quella adorante ‒. Nico sorrise ma solo con metà viso. ‒ Però anche questa città è diventata fascista e il moralismo che puzza di catacomba ha invasato chiunque ‒. Bevve un sorso di vino e, lento, pulì con la lingua il labbro. ‒ E tu mi adori? ‒
Berto gesticolò qualcosa, in gola delle parole che non assomigliavano a nessuna parola conosciuta, e finì con trangugiare una buona metà del bicchiere per mandarle giù.
‒ Però vorresti fartelo ficcare in gola. Dai, scherzo! ‒ e Leo iniziò una risata gutturale ma pudica, come a implorare ‘ora guardami tu, guardami sono così’.
Alla replica del monologo la gorgiera era sparita ed in scena Leo portò un fucile. Gli spettatori inquieti tenevano conto di ogni mossa e con un terrore autentico nel fiato ben serrato in gola, per paura venisse a mancare. Ci fu solo una donna che, colta da pianto, fuggì dalla platea quando Leo, puntandole il fucile, le chiese: Ofelia,
‒ Dai, spogliati, ‒ e, nell’inconsueta esitazione di un istante, ‒ se vuoi ‒.
Berto si tolse pantaloni e camicia, rimase in mutante ma levò anche quelle quando vide Leo nudo. Si toccarono, fecero baciare i loro sessi e li baciarono, la lingua di ognuno cercò il lembo di pelle che meglio godeva. Tutto fatto con l’assalto della violenza a una confessione muta. Fu Berto il primo a venire, senza provare vergogna. Quei colpi di reni uccisero la sua verginità: urlando, menò le braccia sul materasso e deglutì il sudore di Leo colatogli sul viso. Non si sentì diventare uomo ma fu comunque un buon inizio.

Illustrazione originale di Gabriele Merlino
Quando, tre mesi dopo, si scoprì che il fucile usato in scena era funzionante e carico Leo venne processato e si beccò una condanna di reclusione nella casa circondariale di un buco di città del sud.
Berto lo andò a trovare e Leo non lo riconobbe.
‒ Sono Berto ‒.
Leo accese una sigaretta con le mani tremolanti.
‒ Pensavo fossi finito su un’isola greca. Qua tutto bene, sai. La cella è grande, la doccia calda. Peccato siano tutti fascisti! Forse è per questo che hanno già provato a infilarmelo ‒. Il volto si aprì in sorriso.
Berto rimase in silenzio, poi: ‒ Sei così pieno d’amore che ti fa a pezzi ‒ .
‒ Magari è altro ‒.
‒ Chiamalo come vuoi, Leo. Sappi che se davvero ci fosse il giorno della fine vorrei prendermelo tutto addosso e dentro, così che tu possa almeno riconoscermi la prossima vita ‒.
La sigaretta gli era rimasta pendula in bocca e non riuscì a fare altro che alzare una mano a saluto, in risposta al ciao di addio che gli disse l’altro. Uscendo dal carcere, Berto riuscì a non piangere ma solo perché aveva smesso di fingere che Leo gli dovesse qualcosa.
Bio Nato a Parma, ha lavorato come biologo cellulare presso l’Università per poi dedicarsi al mondo della comunicazione digitale: ora è creatore di contenuti per blog e profili social.




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