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Racconti | La creatura


 

Testo di Morgana Chittari

Illustrazione di Angelica Bettoni

 


« La notte era fitta e sorda, l'acqua era profonda. S'inabissò. Scomparve con una cupa calma. Nessuno vide né udì nulla. La nave continuò a navigare e il fiume a scorrere »

V. Hugo, L’uomo che ride


23.05 Ti tocchi sempre alla stessa ora, dormi o non dormi, è uguale. Sogni un forziere. Dentro - Madre e Padre - due puttini in oro massiccio. Apri la finestra e gridi ma non hai suono, tanto non cambia niente. Non cambiano le stagioni, non cambia caldo o freddo, vivo o morto, non cambi le lenzuola. La bava dei morti, almeno, è una cosa concreta, la puoi toccare. Ti lavi o non ti lavi – è uguale. Conti le mattonelle, sai di non contare niente, esci di notte a piedi nudi e cammini rasente al muro fino al primo portone aperto del San Berillo, saluti un bastardo e un barbone, un giro a luci rosse e ti porti a casa la più bella, Teresina, vent’anni più grande, l’unica che ti saluta sorridendo.

Ti porti a casa le sue labbra sottili - ali di puttino. Somiglia a Madre. Teresina, lei sola non ride del tuo squarcio, non le importa o non ci fa caso. Mordimi - le dici, ma non funziona, non senti niente e – vai via, ti prego, lasciami solo – piangi e dici, al solito, e quando ti volti nella stanza non c'è più nessuno. Forse non c’è mai stato ed eri - solo - com’è naturale quando uno muore o è un assassino o senza futuro. Un copione prevedibile, dentro e fuori la camera buia. L’intonaco scrostato, il funerale senza lacrime, senza ospiti, le bollette arretrate, la rata del mutuo e le bare vuote – tutte cose da pagare - il rossetto di Teresina la più bella sul cuscino insieme alla bava di Madre e Padre. Sul comodino, ventisette Best Bräu da 33. Vuote. Bucce di banana, briciole di pane raffermo. Raccogli gli scarti e li infili in bocca insieme alla polvere. Sott'acqua si sta bene – pensi. Loro, staranno bene. Sarà umido, là sotto, come nel ventre di Madre. Sarà un po' come nascere. Morire - sarà uguale.


01.55 Accendi la tele, spegni la tele, accendi la radio, si spegne da sola. Ti sfinisce, la luna.

È ora. Serri le narici, chiudi gli occhi e ti immergi. Sei dentro la grotta con loro. Sul materasso giaci esattamente come - nella stessa posizione in cui, per errore – e dove - nello stesso lato del letto in cui - sei stato concepito. Pieghi le gambe, le porti al petto e ti chiudi fino a farti piccolo, fino a farti male solo per sapere cosa si prova, qual è il suono. Crack. Come il rumore della caduta. Tutte le ossa sono uguali.

"Zum pa ppa, zum pa ppa, zum pa ppa pa, questo è il Valzer del" - dondoli i fianchi come Madre - moscerino" - su Padre quando credevano che non li guardassi. Ora sei una nave fantasma che oscillando prua e poppa si inabissa in cerca dei due puttini - una nave pirata sparata a centodieci in fondo al mare in una notte d'amore - e cerchi le loro ossa, osservi i loro arti spezzati dimenarsi nell’amplesso e senti le urla della fine che battono dentro il forziere. Ti plachi, resti disteso. Per un paio d’ore ti concedi l’oblio di ogni cosa vera o non vera. Per un paio d'ore ti concedi l'oblio di ogni cosa vera o non vera e poi ricordi. Ora ricordi.

Hai quattordici anni e hai lasciato la scuola. Fai il paninaro a via dello Stadio, al baracchino di Saro U Pazzo, anche detto L’Americano, ex pugile fallito, famoso per spaccare gli specchietti delle auto a colpi di mazza da baseball quando gli gira, uno che dopo dieci anni di America a fare lo sparring dei pugili bravi, dopo che gli avevano massacrato la faccia, aveva rimesso a nuovo il furgoncino di famiglia e se n’era tornato a vendere salsicce e funghi in salsa rosa, il mestiere del padre e del padre di suo padre. Otto ore di ingozza-sbava-cola-sbrodola-tracanna-brinda-succhia-ciuccia-lecca-rutta ti hanno chiuso lo stomaco e salti il pranzo, salti la cena, mangi avanzi e bevi. Bere fa bene, diceva Padre. Infatti beveva.


Un giorno, forse, anche tu sarai Padre, sarai un uomo sposato e avrai una casa, avrai una moglie un cane una lavastoviglie un gatto un tosaerba e perché no, una fattoria – hai sempre sognato di lasciare il quartiere e andare a vivere tra puffin e caprioli, alle Ebridi o alle Orcadi, una di quelle isole scozzesi dove la porta resta sempre aperta, come nel quartiere ma senza scippi e motorini – ma ti accontenteresti anche solo di un giardino e la Teresina tutta per te, tutte cose che un ragazzo ha il diritto di sognare.

Sarai felice, allora, starai bene. Il passo tra stare bene e sprofondare è quasi sempre un salto. No, una piroetta. Madre ballava. Fu per te che appese al chiodo le punte.

Era una notte di luna piena quando nascesti, respirare la sfiniva, ricucirla fu complicato. Stavi per ucciderla - non lo dissero ad alta voce ma te la fecero pagare. La cicatrice, sfigurandola, umiliava il ricordo della bellezza. Ti raccontavano, magnificandola, la storia della Donna che si sformò per diventare Madre e prese peso e, persa la presa sul Grande Sogno, perse ogni grammo di gioia. Lo sguardo di Padre era severo. Il bambino è uscito male, è uscito storto, ha qualcosa che non va - ripetevano i dottori. Porteremo questa croce, Signore – diceva Madre a mani giunte sperando nel miracolo. Ma i miracoli non accadono.E comunque capita a tutti di perdere il controllo, dire o fare una cattiveria. A te capitò la notte di San Valentino e fu una vertigine vuota. Per tutti era la notte dell’amore ma tu, su suggerimento di Saro L’Americano, avevi googlato san valentino - massacro e ora il sangue della Storia ti eccitava.





14 febbraio 1929, Chicago, gli scagnozzi di Al Capone crivellano la banda del gangster George Bugs Moran. Sette corpi spezzati a terra. 14 febbraio 1951, Wind City. Sugar Ray Robinson martella di ganci e diretti Jake La Motta. Le labbra spaccate, il taglio all’occhio sinistro, occhio pesto e sangue che cola, il Toro del Bronx che brancola nel buio, cerca le corde, annaspa per restare in piedi fino alla fine. Schizzato insieme al sangue sul tappeto, cede per ko tecnico al minuto 2.04 del tredicesimo round.

Il sangue, il crack delle ossa rotte, la luna piena. Tutto ti eccitava. Fosti rapido e silenzioso con i chiodi sui copertoni. Loro non ti volevano più tra i piedi – così dissero, implorando, sottovoce. Madre indossò le scarpette rosa, fece una piroetta e ti chiuse a chiave in camera facendosi il segno della croce. Finalmente soli, senza peso, leggeri, avrebbero spiccato il volo. E così fu, sulla provinciale. La Panda sparata a centodieci piroettando spaccò il guardrail e si librò a volo d’angelo nel fondo del blu dove il mare è ancora più mare. Chissà le ossa, chissà il rumore della caduta e il valzer del moscerino in volo. E come sarà sotto? Come quando si nasce, tutto umido, e se sono fortunati troveranno il forziere e le monetine d'oro che hai sognato lì per loro.


03.37 Sdraiato sul letto, ripensi ai tuoi quattro anni, quando ti si spezzò un dente nella risata. Il primo di una serie. Ti gettavi a terra, digrignavi i denti e ti contorcevi, battevi i pugni sul petto di Madre e facevi vibrare i vetri. Eri tutto un ghigno, uno sbrego orrendo. Uno squarcio grondante sangue nella tela del Signore, pareva, la tua faccia, mentre rideva. Certo non la faccia di una creatura del Signore. Madre e Padre si allontanavano e pregavano - Che il cielo ci aiuti.

Una domenica pomeriggio ti lanciasti dal divano per diventare un angelo e - Mamma mamma, guarda come volo, prendimi! - ma lei era distante, invocava l’Angelo di Dio, prendi questa croce e si copriva occhi e orecchie, e non ti prese. Tu picchiasti la testa sul tavolino in soggiorno rompendo la sua tazza preferita. Due giorni dopo Madre ricompose la tazza con lacca urushi e il risultato fu che la sua faccia era più bella di prima, così finemente bordata d’oro. Lo stesso non si poteva dire della tua, una riga storta come la bocca di Gwynplaine. E ora anche quella fessura sul lato destro della fronte, oscena. Da quel momento in poi eri Frankenstein per i compagni di scuola, quando in cinque ti immobilizzavano e ti mettevano ko tra il minuto sette e il minuto dieci della ricreazione. Incassavi e ridevi. E quelli rincaravano la dose.

Stai fermo e composto, non ridere sguaiato. Se ridi a quel modo ti fai ancora più brutto e al Signore non piace - disse Madre.


Se ridi così forte e ti agiti è normale che poi caschi e ti rompi la testa - disse Padre - Il Signore ti vede. Un giorno o l’altro ti finirà male. Finirà.

Mentre Madre e Padre erano in volo le tue labbra si alzarono e abbassarono in una risata cristallina - ali di puttino. Piccole ali che Madre appendeva all'albero di Natale. Poi si persero. Chissà che fine avevano fatto, poveri puttini. Spalanchi la bocca in un riso sfrenato, ti rotoli tra le lenzuola e cadi a terra battendo l’ultimo dente rimasto intero. Sputi il pezzo rotto sul palmo della mano, blocchi la risata afferrando le labbra tra indice e pollice, le stringi e le tendi a dismisura; prendi la scatola dei bottoni - Nel nome del padre - trai fuori ago e filo - del figlio - e inizi a cucire.

04.48 Ti stendi sul materasso, serri le narici, chiudi gli occhi e ti immergi. Pieghi le gambe, le porti al petto fino a farti piccolo fino a farti male. Crack-crack. Tutte le ossa sono uguali. Zum pa ppa, zum pa ppa, zum pa ppa pa, dondoli i fianchi e il tuo corpo diventa improvvisamente leggero, senza peso, spicca il volo, cade in picchiata a centodieci e poi umido, là sotto, come nel ventre di Madre. Un po' come nascere. Uguale.


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