top of page

Racconti | Non ci scordano lo stesso

  • rivistagelo
  • 30 giu
  • Tempo di lettura: 4 min

Rimedio chiuse gli occhi, si fregò le mani infeltrite di freddo, e tirò su col naso, forte e deciso. «Di’ scemo, mortaretti ne hai?»

«Per farci?»

«Botti, che altro?»

«Miccette ne ho, raudi pure. Due che forse» disse Umbe dubbioso e s’infilò una mano in tasca. «Scoppiamo adesso?»

«Scappiamo prima. E a gambe.»

Rimedio e Umbe attraversarono il prato a piedi nudi, sulle spalle le scarpe a penzoloni, i pedalini infilati dentro e quattro stracci ammucchiati in una traversa.

«Ti pisci sotto, per questo ne hai?»

«Ce l’hanno tutti, scemo te.»

«Ahio! Che male, boia di un cane! Ci stiamo lontani ’bastanza?», e quasi piagnucolava.

«Tieni botta, Umbe. Ve’, è là che ci siamo.»

Davanti a loro il muro di cinta, fuori il fitto del bosco, e più avanti il fiume a rotolarsi sui sassi. A Rimedio, al posto delle pietre, pareva di vedere le fila di letti d’acciaio allineati in camerata, il crocifisso sulla parete di fronte, il termosifone freddo, le tende macchiate di grasso, l’odore di freschino che impregnava tutto, la divisa, le braghe, le lenzuola, la coperta tanto ruvida che pareva che mordesse, lo spiffero che ti segava in due, il vetro rotto riparato con il nastro adesivo. E chi l’aveva tirato quel sasso con la fionda? Rimedio fece uscire un fazzoletto dalla manica, si soffiò forte il naso e cacciò un verso che incrinò il silenzio generoso della notte.

«All’erta!»

«Sono io, scemo te. Pensa prima che parlare.»

Umbe si fece cupo, e rimase indietro di un passo, mentre il muro si faceva sempre più vicino.

«Che si fa?»

«Si fa che ora vedi se non liberano la muta. Senti?»

«Sento niente. Non parla.»

«Sei scemo.»

«Pensa il tuo, me ne ho di sale in zucca.»

«Di’, quanto? Ah! Beato che tu, Umbe.»

«Ce n’è parecchio. Intanto, i cerini. Caccia fora.»

«Al tempo.»

«E i cani?»

«Scherzavo. Ti pare cercano noi coi cani?»

Al limitare del muro, si ritrovarono a guardarsi smarriti, uno di fronte all’altro, alle spalle la siepe di ligustro che correva nel verso opposto.

«Botti. Ora, adesso o niente più» disse Umbe.

«E sia» acconsentì Rimedio poco convinto.

Scavarono una piccola buca ai piedi del prunus. Umbe diede fuoco a un brandello di lenzuolo: erano rigidi come stoccafissi, bastava un colpo di lama e uno strappo per ridurli in fettucce. Il rumore secco s’era ingoiato il russare di Pardi, il fischio asmatico di Trenette, i singhiozzi nel sonno dell’Ugolini. Tutti dormivano. Scesero le scale in silenzio, facendo attenzione a non fare rumore. Nel vestibolo si scambiarono un’occhiata, le bocche aperte, i denti stretti e a vista. Poi uscirono dalla porta di servizio che affacciava sul retro. Era una notte buia e irrimediabile, ma sapevano che presto rischiarava.

A sera, appena faceva scuro, Libeccio incendiava le latte ai lati del portone d’ingresso dell’asilo. La fiamma bruciava fiacca, illuminava appena la ghiaia del viale tre passi più in là, ma teneva lontani le bestie e i curiosi. Libeccio non parlava, ma Umbe aveva visto come maneggiava. Bastava versare un liquido nero e untuoso sul coperchio dei bidoni e lanciarci sopra un cerino acceso. Umbe diceva che lingue di fuoco gli brulicavano negli occhi, gli incendiavano i capelli, s’incurvavano sulla gobba del naso fino a leccargli il mento.

Rimedio piazzò le miccette e un paio di raudi nella buca. La terra smossa era tiepida, accogliente come un guanto. Umberto il fuochista si piegò sulle ginocchia e allungò la mano con la torcia accesa. «Pronto per il grande botto? Così non ci scordano.»

«Tanto qua restiamo.» Rimedio gli strizzò l’occhio.

«Vedi che non ci scordano lo stesso.»

Le miccette esplosero tutte insieme, uno scoppio appannato, manco fossero sott’acqua. I raudi niente. Forse si erano bagnati quando Umbe era andato al gabinetto, prima di fuggire. Con gli occhi intrisi di buio, tesero le orecchie e si misero all’ascolto.

«Santi numi! Non si vede da qui a lì» squittì la Fieschi, la voce impastata di adenoidi.

«Una punizione esemplare, eccome se la beccano. Uscire a quest’ora, piccoli bastardi!» tuonò il direttore.

«Dove sono finiti, benedetti cani?» s’intrufolò il custode.

«Se ne occupa Libeccio» lo tranquillizzò la Fieschi.

«Quello, poi» disse polemico il direttore. «Silenzio, ora.»

 


Il muro di cinta era pelle di serpente, viscido, umido, le suole scivolavano, non c’era presa né appiglio. Muschiate e infide, le pietre respingevano con ferocia.

«Li senti?» disse Umbe, con un tono da crepaccio.

«No» rispose stizzito Rimedio, anche se aveva sentito benissimo. Si aggrappò a una sporgenza acuminata, arrivò lo squarcio e la pelle che si lacerava all’altezza del polso. Mollò la presa e si ritrovò di nuovo con le caviglie a infradiciarsi nell’erba. «Pensiamo ad arrivare in cima.»

«E i vetri?»

«Ci si ragiona una volta su. Ferite si curano.»

Un lucore bianco illuminò il corpo sgraziato di Umbe, la testa grossa, le spalle risicate, la giacchetta della divisa stazzonata. Tonico e nervoso, Rimedio era già a metà parete. I frammenti di vetro fuoriuscivano dalla gettata di cemento sulla sommità del muro di cinta e, per un istante, investiti dal fascio di luce, brillarono torvi. Umbe, nel frattempo, era di nuovo finito a terra e si lagnava ai piedi del muro.

«Che fa’ lì, scemo te? Riprova!»

«Faccio che so» rispose prima di incamminarsi storto verso il portone.

«Eccolo là!» urlò Dante appena avvistata la sagoma di Umbe.

«Vada a dire a Libeccio di lasciare in pace i cani» ordinò perentorio il direttore alla Fieschi.

Rimedio intanto era arrivato fino in cima, e c’erano i vetri.

 

L’Asilo Beltrami, costruito nel 1897, è un vasto edificio in pietra su due piani situato in contrada Palmaggi, a quindici chilometri da Rivalbella, a sette dal centro di Sonnigo. La famiglia Beltrami, nel corso dei secoli, si è avvicendata alla guida dell’istituto. Ancora oggi, nella prima decade degli anni sessanta, gli eredi dirigono con dedizione la struttura che accoglie, cura e provvede al mantenimento e all’istruzione di orfani e figli di famiglie indigenti.

Comentarios


WhatsApp Image 2024-04-12 at 10.29.47.jpeg


Se vi va di supportarci… offriteci un caffè ☕
Non c’è trucco, non c’è inganno: potete mettere quanto potete e volete, senza minimi.
Come? Qui sotto trovate un link PayPal, dal quale potete facilmente inviarci il vostro sostegno 
(Non avete PayPal e volete sostenerci? Scriveteci e vi spieghiamo come fare!)

Se rifioriamo e ci rinnoviamo è anche grazie a ciascuna e ciascuno di voi!

Qui il link 
👇👇
https://www.paypal.me/lorenzvi

bottom of page