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Racconti | O la mia, di carne



 

A cura di Laura Scaramozzino


 



Vertigo è una rubrica dedicata ai racconti brevi che esplorano l’abisso. Paura e attrazione verso l’abisso, inteso in senso metaforico e non, rappresentano l’approccio più adatto a una narrazione che vuol essere per sua natura ambigua, liminare, al confine tra il bordo e il precipizio. Che cosa ci terrorizza, ma al tempo stesso, ci attrae? Perché, pur avendo paura del buio, desideriamo esplorarlo e addentrarci nell’oscurità?

Racconti noir, perturbanti, weird, horror o surreali troveranno in questo spazio la collocazione ideale, soprattutto qualora facciano dell’esperienza del confine, e del limite, la propria vocazione. Stare sul bordo dell’abisso, fare esperienza della vertigine, vuol dire questo: fuga e attrazione. Desiderio di cadere, ma anche terrore.





 

Testo di Elisabetta Carbone

Illustrazione di megasitua


 



È uscita di casa e ha deciso di bere. E adesso è seduta nel dehors del bar sulla strada. 

Fa’ attenzione, sta per succedere. Si sistema sulla sedia, il bicchiere di birra cade dal tavolino e si rompe.  

Non aver paura di fissare, non sa che la stiamo guardando. Tieni gli occhi sulla scena: al bicchiere manca un bel pezzo dell’orlo. Una vu profonda, non troppo sottile, senza crepe. La ragazza muove la punta del piede, qualcosa raschia il pavimento del dehors. Raccoglie un triangolo di vetro dai bordi lisci, dritti, con la punta acuminata. Lo nasconde nel palmo. 

E adesso? 


Esce dal bar e volta la testa verso un vicolo poco lontano. Sotto la luce del lampione scorge un gattino senza pelo. Le minuscole ossa del collo gli si piegano in fila e si volgono da una parte all’altra della strada.  

Tutto è pronto: la notte, il silenzio, la solitudine. E un complice muto e pietoso. La ragazza punta il vetro contro l’avambraccio. Nello spazio della notte, in quel vicolo non attraversato da un suono, dove l’aria stessa sembra in stasi, sente che finalmente tutto è possibile. 

Ora vieni con me.  

Guarda la casa bassa, l’ultima della strada chiusa. Punta lo sguardo sulla finestra illuminata.  

La piccola è Maria, ha sette anni. L’altra è Anna, sua sorella, che ne ha quindici. Hanno lo stesso papà. La mamma di Anna è morta qualche anno fa, e lei si è trasferita da loro. Poi il loro padre se n’è andato e sono rimaste con la mamma di Maria. Abitano tutte e tre in quella casa bassa, alla fine di quella strada chiusa. La mamma di Maria non fa nulla. Quindi fa Anna, perché è grande. E pensa anche a Maria, che da un anno va a scuola.  





Illustrazione originale di megasitua ©




Quello che Anna prova più spesso è odio. Per la mamma di Maria, che non fa niente, e tocca a lei. Per suo padre, che se n’è andato. Per sua madre, che è morta. 

E per Maria, che è piccola. Troppo piccola per tutto. Per lavare, stirare e cucinare. Per dormire da sola, perché si sveglia di notte e vuole venire nel suo letto, e poi Anna non dorme più. Perché la deve accompagnare e andare a prendere dappertutto. Perché esiste ed esisterà ancora per un sacco di tempo. 

Come sarebbe bello se la madre di Maria morisse. E se Maria morisse. Anzi, Maria no, che è peccato quando muoiono i piccoli. Basterebbe che stesse lontano, in un posto dove se ne occupa qualcun altro. Poi tornerebbe cresciuta e non sarebbe più un problema, perché potrebbe farsi le proprie cose da sé e magari, a quel punto, fare anche le sue. 

Anna aspetta di compiere sedici anni per smettere di andare a scuola. Non vuole più sentire niente e nessuno. Non ha altro desiderio. 

A parte uno. 

Un paio di settimane fa le è caduto un piatto. Ha raccolto i cocci e si è tagliata. Ha sentito un bruciore freddo e ha visto il sangue insinuarsi nelle pieghe del palmo. Lo ha guardato percorrere le linee della pelle fino al polso. Ogni volta che ha preso qualcosa in mano, giorni dopo, ha sentito bruciare la ferita. Così ha stretto più forte. 

E poi lo ha fatto da sé qualche altra volta. Non tante, e in posti dove non si vedesse. A scuola le avrebbero rotto i coglioni. 

 



Torniamo nel vicolo. Ecco il gatto senza pelo. Anna spinge la punta del vetro sulla pelle. 

«Perché?» 

Hai parlato?  

«Ne ho bisogno.»  

Riesce a sentirti! 

Il sangue sbuca da sotto la punta del vetro.  

Vorrei avere una macelleria umana. Fare un giro nella cella frigorifera fra braccia, busti e gambe appese a sgocciolare. Scegliere i pezzi freddi e asciutti, esporli su piatti belli, di quelli di acciaio lucido, o di ceramica dipinta. E mettere tutte le verdurine colorate intorno. O la mia, di carne. Prendermi un pezzo dalla pancia come se fossi impasto da polpettone.

«Guarda, Anna, il tuo sangue. È una goccia grossa come una ciliegia».  

Un velo di lacrime le offusca gli occhi che si muovono a scatti. La pupilla si allarga e l’iride arretra, la palpebra è spalancata. Il gatto è contro la sua gamba, Anna sente l’ispida carezza del pelo. Anche lui ha le pupille larghe.  

Da un mucchio di pattume si alza odore di bruciato: qualcuno avrà buttato un mozzicone spento male. Quando quelli del locale puliscono prima di chiudere, hanno talmente fretta che svuotano i posacenere senza guardare.  



Anna alza la punta del vetro dal braccio, la ciliegia di sangue si scioglie in un rivolo che cola fino a terra. Il gatto annusa le gocce e si allontana lento, riprendendo la posizione di guardia all’ingresso del vicolo. 

Anna butta il pezzo di vetro nel pattume, l’odore di bruciato le toglie il fiato. Rientra nella luce della strada e una cameriera del locale le si avvicina. «Ti sei fatta male?» Le porge una sedia. «Aspetta qui, ti porto del disinfettante e un po’ di cotone. Chiedo un cerotto». Guarda la ferita e scuote la testa. «Forse è meglio una benda». Si allontana veloce e ritorna con un batuffolo di cotone imbevuto di liquido verde. Un’auto passa fulminando il buio, mentre il gatto attorciglia la coda, ritrae il collo e chiude gli occhi. 

Tra poco Anna tornerà nella casa bassa nella strada chiusa, ascolterà il respiro della mamma di Maria e la odierà. Si sdraierà nel proprio letto sapendo che Maria la sveglierà durante la notte. Prima di chiudere gli occhi stringerà il braccio bendato dalla cameriera, le farà molto male e lei stringerà ancora di più. 

Parla pure, tanto Anna ha smesso di sentirti. Qui non c’è più niente da vedere.  

Anche tu puoi andare a dormire. 

 

  

 

 





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