Racconti | Scomodo
- rivistagelo
- 2 ore fa
- Tempo di lettura: 4 min
Testo di: Leonello Ruberto
Illustrazione di: Marta Pacciani
Editing di: Yuri Sassetti e Arianna Cislacchi
Non era sicuro che non gli fosse già capitato prima, ma ora cominciava a essere un problema.
Cominciò di notte, i fastidi cominciano sempre di notte.
Non riusciva a prendere sonno, e questo gli era già capitato ed è capitato a tutti.
Il motivo era che non stava comodo nella sua posizione. La cambiò.
Si concentrò sui benefici immediati di quel cambiamento di posizione, scoprendo che non ce n’erano.
Sapeva che era alta la probabilità che quella sarebbe stata una notte travagliata. Con un mattino pessimo e una giornata mezza rovinata.
I pensieri negativi non facevano bene.
Si concentrò su se stesso nel letto. Cercò di rilassarsi, ma non funzionava, non era nella sua mente, era un fastidio fisico.
Riusciva solo a definirlo fastidio, non era di certo un dolore. Ma si comportava come se fosse un dolore.
Come un malato a letto. Alcune volte dopo quelle nottate si era svegliato con l’influenza o la gastroenterite. Ecco svelato il mistero di quel disagio notturno.
Ma quel giorno non fu così. Saltò fuori dal letto all’alba perché non ne poteva più.
Si tolse il pigiama perché gli pareva che ci si fosse attorcigliato dentro.
Mise la felpa. Gli stava storta intorno al collo, come fosse cucita male. Eppure era la felpa che aveva da due decenni, come non ne facevano più e comunque doveva aver preso la forma del suo corpo.
Ma quel giorno gli andava storta. Calzava male anche sui fianchi.
Si affrettò a prepararsi e vestirsi per andare al lavoro. Scelse il maglione più comodo, sentendosi un fissato.
Il maglione non era comodo quel giorno, ma probabilmente era dovuto alla camicia che aveva sotto, quella non la sopportava mai.
In macchina teneva le mani tese sul volante, stando attento a non sbandare mentre cercava di sistemarsi meglio la cintura che gli dava fastidio.
Guardava davanti ma si sentiva leggermente girato di lato, come se il sedile avesse una certa inclinazione. Tirava sulla sinistra, provò senza risultato a tirare su il culo, sformando i pantaloni e infossandosi di nuovo nel sedile. Cercò di non pensare alle mutande, che così gli si erano infilate tra le chiappe.
Parcheggiò. Sceso dall’auto, trovò l’occasione per aggiustarsi. Sistemò i pantaloni sulle scarpe, scosse il giubbino per farlo calzare bene sulle spalle e decise di fare una camminata.
In effetti gli fece bene, e dopo un po’ si dimenticò anche della cucitura del calzino che dentro la scarpa premeva sulle punte dei piedi quasi a fargli male.
Anche la sedia dell’ufficio era scomoda quel giorno, gli faceva male la spalla, ma forse era dovuto alla nottata agitata.
La giornata sarebbe finita e si sarebbe infine messo a letto sfinito, recuperando il sonno perso.
Subito si accorse, però, appena spenta la luce, che stava scomodo. Era un fastidio nel corpo, nelle membra? Forse un problema di circolazione?

Tirò avanti altre due notti, poi andò dal medico. Il medico, come sempre in questi casi, non trovò niente. Gli disse di rilassarsi e sarebbe passato.
Ma non passò. E cominciava a essere anche una vergogna parlarne, perché poteva sembrare che avesse qualche problema psicologico.
Non era così, e non era stressato. Si stava stressando perché stava sempre scomodo in tutte le posizioni e moriva di sonno.
Si appisolava sul divano davanti a un film, ma subito veniva svegliato per cambiare posizione: stava scomodo anche nel punto del divano dove sedeva sempre.
Facendo delle prove in autonomia, intuì che i momenti migliori erano quando camminava.
Così nei fine settimana, quando c’era bel tempo, faceva lunghissime camminate che lo stancavano sul serio e lo facevano dormire anche se stava scomodo.
Non bastava. Non poteva lasciare il lavoro per camminare tutto il giorno. Era sfinito, nervoso, cominciò a prendersela con le cose: lanciò lontano la sedia con le rotelle, spaccò il pomello del cambio dell’auto e al culmine, una notte, il letto che da giorni cigolava crollò sotto i suoi scossoni.
Rischiò di farsi male, ma gli andò bene.
Comprò un nuovo letto, ma non c’era verso di abituarsi. Lasciò il lavoro prima che lo licenziassero per la sua inefficienza, nervosismo, confusione e sequenza di errori commessi a causa della stanchezza.
Tornò dai medici, ma tirarono in ballo la questione mentale, gli diedero dei calmanti. Si calmò, ma il problema non era quello, era che stava scomodo a letto, seduto, nei suoi vestiti, nelle sue scarpe.
Stava scomodo, stava scomodo ovunque.
Non poteva farci niente, non era una cosa da fare. Puoi fare qualcosa che è fuori di te, o dentro di te. Ma per un prurito che non si sa dove stia non c’è molto da fare. Grattarsi lo aumenta.
Era dipendente dalle lunghe camminate, i polpacci erano magri e duri, di notte aveva i crampi ma dormiva lo stesso qualche ora. E così sopravviveva.
Un giorno si chiese: ma, tutti gli altri, davvero stavano comodi? O semplicemente se ne fregavano? O, peggio, fingevano?
Col suo comportamento aveva ormai allontanato tutti. Riprese a lavoricchiare prima di rovinarsi. Mantenne qualche rapporto minimo con le persone.
Continuò a stare scomodo e fare lunghe passeggiate ogni volta che poteva. E gli sembrò che la sua vita in fondo fosse stata sempre così.
Non era più sicuro di ricordare davvero la notte in cui aveva cominciato a stare scomodo.
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