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Vertigo | Esondare il grembo


 

A cura di Laura Scaramozzino

 


Vertigo è una rubrica dedicata ai racconti brevi che esplorano l’abisso. Paura e attrazione verso l’abisso, inteso in senso metaforico e non, rappresentano l’approccio più adatto a una narrazione che vuol essere per sua natura ambigua, liminare, al confine tra il bordo e il precipizio. Che cosa ci terrorizza, ma al tempo stesso, ci attrae? Perché, pur avendo paura del buio, desideriamo esplorarlo e addentrarci nell’oscurità?

Racconti noir, perturbanti, weird, horror o surreali troveranno in questo spazio la collocazione ideale, soprattutto qualora facciano dell’esperienza del confine, e del limite, la propria vocazione. Stare sul bordo dell’abisso, fare esperienza della vertigine, vuol dire questo: fuga e attrazione. Desiderio di cadere, ma anche terrore.



 

Testo di Arianna Cislacchi

Illustrazione di Alessandro Guidi

 

 

Élise, Parigi 1993 d.C

 

Cerca Sua Maestà.

Trova l’eco del mostro che ti precede.

 

Avverto una spinta al basso ventre, arti contratti, un calcio per rabbia che inverto in canto di quiete. Poggio il palmo sulla curva dura che tira senza pietà. Ninna nanna, piccolino. Dormi, dammi tregua. Nuoti e ti mescoli allo scivolo della placenta, smuovi gli organi, li scrolli come onde sporche. Chi avrebbe immaginato che la vita, prima ancora di sorgere, potesse far così male.

Alla vista di un carretto di gelati, sguscio via e imprimo lo sguardo su Notre Dame. Rivedo il bassorilievo che ritrae la sirena dalle mille forme, quella che contemplo ogni giorno, e m’immagino quanto la coda di squame la ossessioni. Il volto e il seno di donna gridano il posto che le spetta. Le origini del tutto.

Chissà se sei mai stata vera. Vorrei maledirti, Madre di tutti i mostri, e al contempo stringerti a me compiangendo il tuo destino, che ha reso tutte noi schiave e colme di un potere abissale: quello della vita e della morte.

Mentre osservo il tuo ritratto di pietra, tra le gambe avviene uno strappo. Esondano, inavvertite, le acque.

 

 

 

 

Echidna, Arimi - Cilicia, secoli. a.C.

 

Serpe di donna, pelle mutata. Coda che afferra, imprime, stritola.

Sgretolo i volti di creta dell’eroe bugiardo che ha osato inventare storie di ricatto e rovina. Il traditore, fascio di vene e muscoli, alleatosi con il peggiore dei Venti. E mentre entrambi mi deridono in superficie, vago costretta nelle fauci di una grotta nera. Custodisco fra i capelli promesse infrante. Conto le ciocche, i figli sputati dal ventre: lo faccio con sassi e conchiglie e li ficco nel terreno. Crepate!

E crepino i vostri padri! Dalle tenebre del mio incavo odo i pianti cosparsi che reclamano disperati. Da buona Mamma ne accolgo le grida: Cerbero dall'inferno comincia per primo, poi Idra lamentosa che gode delle acque dolci, e ancora le Arpie che stridono spezzando le ali piumate, e a seguire Chimera e gli altri.

Vorrei aiutarvi, figli miei, ma Sottoterra tremano le ceneri di una violenza. Avvolta da Tifone, aderisco alla possessione senza tregua, e ricado giù, sempre più in basso, dove le profondità non hanno spazio, dove il dolore si intensifica e divento viscida e schifosa, tentatrice, seducente, femminile, e io sola divento il buio; scopro che ho vinto la grazia dello squarcio, là nell’unico luogo in cui ogni giorno sorgono centinaia di soli, ma io non ne vedo mai la luce.

Mi sento responsabile di una colpa mai stata mia. Ma c’è chi Mostro è stato, ben più colpevole di me.

 

 


Lilith, Eden - Creazione

 

Non sono mai esistita.

Il primo posto da sempre e per sempre, nell'eterno riposo, è della splendida dai capelli dell'oro. Non è permesso contraddire quanto i seguaci, i discepoli e i creatori hanno sentenziato a più voci: «Donna ne è nata solo una, da costola di Uomo, e che a frugar nell'erba santa e vegetale del perfetto loco paradisiaco sono stati loro due soltanto, per mano, a godersi la sazietà della luce divina. Non è vero che Sua Santità ha sepolto la storia di colei che Prima moglie fu, l'opposto oscuro, la notte dal crine di corvo e uno sguardo in vero che non perdona».

L'Essenza mai esistita si chiama Lilith e calpestò le terre dell'Eden prima ancora del sorgere universale. Gli occhi di Dio si sono posati su di lei con ansia poiché non era in progetto, e Lui soltanto era consapevole che i figli illegittimi, prima o poi, intraprendono la medesima strada del legittimo. Accanto alla donna mai esistita si affiancò un certo Uomo, Adamo, che la desiderava e temeva al contempo. Ma Lilith nulla faceva, se non crescere rigogliosa ai piedi dell'albero santo. Il giorno del suo diciottesimo compleanno, venne tradita. Addormentata dal trucco di una magica polvere scossa sul viso, la giovane si svegliò con una mela stretta in mano. E Dio la punì, per un’ingordigia mancata. Su di lei ricaddero fulmini e di uno ella fu vittima e divenne polvere. Ma il divino non sapeva che dalle ceneri si risorge e Lilith rinacque serpente.

Col tempo, il mondo avrebbe compreso che tramutarsi in rettile non reca orrore, bensì imponente e splendido potere. E mentre il nuovo corpo di Lilith si stringeva alla corteccia, risalendo la punta dell’albero santo, facendo suoi tutti i rami, da sotto, Adamo ed Eva, ignara sostituta, s’amavano brutalmente. Eva con espressione costretta, indignata, colma di imbarazzo e prigioniera di una violenza non voluta, cercava di arrestare i movimenti dell'Uomo che non amava.

Una mela, per caso, cadde loro ai piedi. La giovane dai capelli d’oro s’interruppe e prese il frutto tra le mani. Si sentì sollevata, libera da un contatto fisico non voluto. Si staccò rapida, e quando sollevò lo sguardo, incrociò sulla cima gli occhi confortanti di Lilith. Poco dopo, il Paradiso tremò, e venne l’Inferno: la Creazione.

 

I morsi fanno paura, lasciano il segno. Segni di odio, di piacere. Di difesa.

E se dai morsi dobbiamo essere condannate,

che il mondo tremi del nostro veleno.

 


 

Tiamat, Abisso - Il Vuoto

 

Questo buio è già stato percorso.

Prima di me, prima dell’ennesima volta.

Quando lo navigo avverto sulle braccia tutta la sua potenza. Più scendi, più i livelli si fanno duri e tu gridi mossa da un’inquietudine beata, come beato è soffocare tra le acque mute.

Tu, che rimesti questo liquido torbido, non troverai altro che tenebra, un’oscurità che schiacciandoti ti trascinerà con sé. Finché non sprofonderai giù in essa. Annasperai in cerca di aria, ma qui non la troverai: è regno di Abisso, non esiste salvezza, né caldi spiragli. Non è casa, la casa che ti aspetti, non è tetto sotto il quale sentirsi protetti. È una casa che crolla e cede, la mia, tetto che potrebbe caderti sulla testa a un tratto, rifugio di colei che è Mostro e Madre di tutti i Mostri dell’Universo a venire. Un Mostro, scelto e nato per tale ragione, partorisce figli micidiali. Tutte le anime che vomito nel liquido salmastro urlano odio e morte. I mali esistono da sempre, sono radicati nel Vuoto, e finché sorgevano da mani invisibili e dominanti, filava perfetta ogni giustificazione.

Ma poi nacqui, e il peso delle responsabilità cadde su di me.

Odo i vostri richiami disperati, giovani fanciulle del futuro, ma non vi risponderò. Così è stato deciso. Esistono spalle per reggere colpe e processi. Quel compito è spettato a me. Prima che Terra nascesse.

Il giorno in cui sorse, stavo lottando con centinaia di dèi: mi volevano nelle profondità, impedendomi di salire in superficie con fili di catene ai polsi, perché casa mia era l'Abisso, non avevo diritto di vedere il sole. Fu lì che la mano di Marduk, campione e sovrano, arrivò improvvisa e afferrò la mia. Sventola lo scettro dorato e io credetti nella salvezza. Ma non era questo il mio destino.

Combattevo le mie battaglie sola contro tutti, nulla chiedevo se non spazio, libertà, espansione. Altri cento servi degli dèi vennero per soffocarmi, creature alate, piante ibride, per stringermi e abbattere i miei figli che chiedevano vendetta. Vendetta per Tiamat.

Arrivarono carichi d’odio, imprecando contro di me e gettandomi addosso frecce infuocate.

«Come osi mantenere dimora! Accetta i limiti, accetta pali, fortezze, feritoie, accetta di restare laggiù dove il buio ti reclama e dove meriti di rimanere. E se osi risalire, questa è la punizione dell’eroe!» gridarono in coro.

Non mi era permesso alzarmi in piedi. E mentre lottavo da bestia, affondando le unghie e immergendo i denti nel loro sangue, i miei figli vennero respinti e in un istante evaporarono. Non avevo più nessuno. Marduk si gettò su di me, obbligandomi a sottostare, e con espressione feroce e sguardo socchiuso, mi violò le membra e squarciò in due il corpo: le voci maschili degli dèi si sovrapposero alle mie urla. Incitavano gloriose: «E venne il Cielo e la Terra».

 

Ora, avete la Terra, cari umani. Ringraziate il potente Marduk.

Accusatevi, accusatemi.

Urlate il vostro castigo.

Siate, Castigo.

Dànnati, eterna partoriente. E ricorda, che ogni tuo figlio storto, omicida, affamato, assatanato, è così per causa tua. Tu l’hai creato.

Ogni Madre è colpevole.

E gloria eterna agli uomini che seminano.

 

 


  

Élise, Parigi 1993 d.C

 

Le acque esondate sono rosse.

Sei Creatura mostruosa che si fa assassina.

Morte al grembo che crollò sulle teste.

I mali esistono, radicati nel Vuoto.

Vuoto sia il grembo, della Madre colpevole.

E Gloria all’uomo, che è violenza di seme.

 

 



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